Nelle scuole troppo di frequente, ormai, si assiste a casi di bambini, pre-adolescenti ed adolescenti con disturbi specifici dell'apprendimento, che non vengono segnalati dai genitori. La scuola in questi casi ha le mani legate e non può mettere in atto tutte quelle misure dispensative e/o facilitative destinate agli alunni con DSA. I genitori andrebbero seguiti, appoggiati ed aiutati a rilevare ed accettare i disturbi dei propri figli da una rete sanitaria più capillare e presente nella vita quotidiana di ciascuno.
Intanto, gli alunni con DSA vivono a scuola non pochi disagi, causati dalla loro lentezza, dalle loro difficoltà e spesso da limiti emotivo-relazionali che ne pregiudicano senza dubbio un inserimento sereno e proficuo all'interno del gruppo classe.
Ai docenti, ai Dirigenti e al personale scolastico non resta che barcamenarsi al meglio per il bene del singolo e del resto della classe, ma è necessario indurre i genitori degli individui con DSA a riflettere sull'opportunità di avviare i propri figli ad un percorso psicologico mirato e specifico. Non per questo i figli saranno dei "diversi": si tratta solo di un percorso finalizzato ad una loro crescita serena e ad un loro sviluppo organico e guidato.
Recensioni, racconti, narrativa al femminile, riflessioni sull'attualità, letteratura latina e qualche ricetta!
martedì 9 ottobre 2012
mercoledì 12 settembre 2012
Properzio 4,3: tre articoli di Valentina Buono
V. Buono, Epistole amatorie a confronto: Prop. 4,3 e Ov. Her. 1, <<Bollettino di Studi Latini>> 38.2 (2008), pagg. 535-548.
V. Buono, Properzio 4,3, 1-6: caratteristiche epistolografiche e motivi elegiaci, <<Aufidus>> 64 (2008), pagg. 17-36.
E. Baeza Angulo - V. Buono, Fabia, l'ultima delle eroine ovidiane?, in Dulces Camenae. Poética y Poesìa latinas, a cura di J. Luque, M. D. Rincòn, I. Velàsquez, Sociedad de Estudios Latinos, Jaén-Granada, 2010, pagg. 137-146.
venerdì 7 settembre 2012
BEN-ESSERE, ovvero stare bene con se stessi e con gli altri
Benessere. Ovvero ben-essere, stare bene. Il benessere è fisico, è psicologico e di solito entrambe le condizioni coesistono. Non per nulla i sempre saggi Romani dicevano "mens sana, in corpore sano".
Una delle condizioni necessarie per stare bene psicologicamente è trovare un equilibrio con se stessi, in maniera tale che anche le relazioni con gli altri siano positive. Con questo non intendiamo dire che stare bene con se stessi significhi conseguentemente intessere relazioni unicamente proficue, piacevoli e soddisfacenti. Significa più realisticamente riuscire ad accettare gli altri, tollerarli e non giungere allo scontro con troppa facilità e senza rendersene conto. Importante è sicuramente valutare gli aspetti positivi della nostra persona, della nostra vita per poterne trarre linfa e sicurezza. Se sorridiamo alla vita, notandone le cose belle e non solo quelle che non ci piacciono o che detestiamo addirittura, la vita ci sorriderà. Questa è una sacrosanta verità. Ma l'attitudine alla positività, dove la troviamo e come? La si può possedere in maniera innata, per inclinazione e per carattere. In questo caso si è fortunati. Non bisogna sforzarsi. Molti di noi, tuttavia, questa attitudine -fanciullescamente affascinante - non ce l'hanno. Devono costruirsela, giorno dopo giorno. Lo sappiamo: non è facile. Proprio come la scalata della felicità e del benessere.
Armiamoci, quindi, di buona volontà e cerchiamo non solo di vedere il buono delle cose, ma anche il buono nelle persone che incontriamo o con le quali ci relazioniamo. Purtroppo i nostri filtri mentali, le nostre convinzioni pregiudiziali non ci aiutano in questa operazione. Sforziamoci, perciò, di mettere da parte il nostro Io ingombrante e a volte debordante e "mettiamoci nei panni dell'altro". Ovviamente questa operazione non farà sparire del tutto e magicamente tutti quegli aspetti che degli altri e dei loro modi di fare non ci piacciono, ma ci aiuterà a vivere meglio le relazioni e non avvitarci in una spirale deleteria di rimuginii e malcelati rancori, o - ancor peggio - sentimenti di inadeguatezza e tristezza.
Inoltre, noi crediamo che stare bene con se stessi significhi:
- avere degli ideali;
- avere degli obiettivi;
- trovare soddisfazione in quello che si ha;
- trovare soddisfazione in ciò che si fa e per come lo si fa;
- riuscire ad apprezzarsi;
- sforzarsi di modificare gli aspetti del proprio carattere o della propria vita che piacciono meno o che causano maggiori difficoltà relazionali;
- non far dipendere la propria autostima dalla stima che gli altri nutrono (o che presumibilmente nutrono) nei propri confronti;
- accettare le critiche;
- aprirsi al dialogo;
- vedere il buono nelle cose e nelle persone;
- notare anche gli aspetti e/o i comportamenti negativi degli altri, ma non rimuginarvi sopra;
- discutere con atteggiamento aperto ed autocritico;
- non pensare che gli altri debbano agire o pensare esattamente nella maniera in cui ciascuno di noi lo farebbe;
- non alzare la voce per fare prevalere la propria idea o ragione;
- non offendere il proprio interlocutore;
- non atteggiarsi a vittima, anche quando si pensa di avere ragione;
- non proiettare discorsi generali sulla propria dimensione personale, sentendosi necessariamente attaccati dall'interlocutore;
- non attaccarsi ad un passato nostalgicamente trasfigurato e sempre contrapposto e migliore del presente: se il presente non piace, che si faccia qualcosa per migliorarlo.
Questi sono solo alcuni suggerimenti, che riteniamo utili per ciascuno di noi.
Per noi sono dei promemoria e servono da sprono al miglioramento. Sempre per citare la saggezza latina: "verba volant, sed scripta manent".
Nero su bianco, insomma, per visualizzare e - si spera - metabolizzare quanto detto.
Iniziamo da oggi il nostro percorso per stare bene con noi stessi e di conseguenza con chi ci sta intorno.
La strada è lunga, tortuosa ed in salita. Va percorsa col sorriso sulle labbra.
mercoledì 5 settembre 2012
Valentina Buono, Introduzione ad un commento a Properzio 4,3. Dall'amore coniugale all'amore elegiaco.
Autrice: Dott.ssa Valentina Buono
Titolo della tesi di dottorato in Filologia greca e latina: Dall’amore coniugale all’amore elegiaco.
Commento a Prop. 4,3.
Tesi svolta
presso il Dipartimento di Scienze
dell’Antichità dell’Università degli Studi di Bari A. Moro (a.a. 2004-2007).
Data di
discussione della tesi: 20 maggio 2008.
Docente tutor: Prof. Paolo Fedeli
Commissione
giudicatrice: Prof. Giovanni Laudizi, Prof. Giuseppe
Solaro e Prof. Matteo Pellegrino.
Sintesi del lavoro di ricerca e Giudizio di presentazione
Il lavoro svolto dalla Buono è un commento alla terza
elegia del quarto libro di Properzio, che è il primo esempio latino di
un’epistola in versi. Strutturalmente il commento si articola per macro-lemmi,
che riguardano uno o più distici: tale ripartizione ha il pregio di non frantumare
l'analisi testuale a scapito dell'imprescindibile sguardo d’insieme sui singoli
distici, i quali costituiscono di norma veri e propri nuclei tematici. Grazie
ad uno stile semplice e chiaro, inoltre, il testo del commento diviene ben fruibile
e a tratti persino piacevole. La candidata si è sforzata, infatti, di
amalgamare all'interno di un testo di tipo discorsivo note di carattere
critico-testuale, linguistico, metrico ed esegetico, che mirano ad un'analisi
rigorosa ed esaustiva, dalla quale emerge una sicura padronanza degli strumenti
di ricerca. Si tratta di un lavoro che, pur fondato su una debordante bibliografia,
presenta pregevoli elementi di novità anche nei confronti del recentissimo
commento al IV libro delle elegie di Properzio di Gregory Hutchinson, edito per
i tipi della Cambridge University Press nel 2005. Il commento della Buono va
ben oltre le stringate note redatte dallo studioso inglese, che spesso si rivelano
del tutto inadeguate in merito a particolari questioni esegetiche suscitate dal
non semplice testo properziano. La 4,3, infatti, come tutte le elegie di
Properzio, presenta dal punto di vista testuale non poche difficoltà, che si
riflettono inevitabilmente sull'interpretazione dei passi controversi. Il testo
critico che emerge dalle scelte testuali operate di volta in volta, se da un
lato respinge sistematicamente le lezioni proposte di recente da Giancarlo
Giardina (nella sua edizione critica con traduzione pubblicata a Roma nel 2005),
dall'altro appare più spesso conforme al testo teubneriano curato da Paolo Fedeli
(Stoccarda 1984), dal quale, comunque, si discosta in più di un’occasione. Nel
corso del commento, la discussione dei problemi testuali occupa un posto di
rilievo, supportata com'è dal vaglio scrupoloso dell'enorme messe di congetture
al testo properziano.
Il commento mira a sottolineare costantemente
le affinità e le divergenze tra l'elegia properziana e le Heroides ovidiane, che molta parte della critica ritiene, a
ragione, modellate sull'epistola in distici di Aretusa al marito Licota. A
questo riguardo, nel presente lavoro sono sistematicamente messe in evidenza
riprese tanto lessicali, quanto tematiche dal testo properziano nelle epistole
amatorie ovidiane.
Dal punto di
vista esegetico, il lavoro della Buono mira a scardinare la convinzione che
l'epistola di Aretusa sia un componimento celebrativo dell'amore coniugale, composto
in onore e per piacere del princeps, il
quale proprio negli anni in cui Properzio compose il IV libro di elegie (20-16
a.C.) irrigidì le proprie posizioni in ambito etico-sociale, dando vita ad una
vera e propria restaurazione del mos
maiorum. Il lavoro della Buono dimostra, infatti, che, sottoposta ad
un'analisi attenta ai non pochi elementi di novità rispetto ai topoi elegiaci,
la 4,3 si rivela come la riproposizione e l'ennesima celebrazione dell'amor cantato da Properzio nei primi tre
libri. Il vincolo erotico che lega Aretusa a Licota va ben al di là dell'affectio maritalis e s’identifica con il
foedus amoris della tradizione
elegiaca. Proprio alla luce di ciò, la candidata ha scelto per la propria tesi
un titolo emblematico (Dall'amore coniugale all'amore elegiaco.
Commento a Prop. 4,3), che sintetizza
i contenuti e i risultati del proprio lavoro di ricerca.
Per di più, la ricerca condotta dalla Buono reca tracce
manifeste di un’assidua e proficua frequentazione della biblioteca di
Dipartimento e di una partecipazione costante ed interessata alle lezioni
seminariali del corso di dottorato.
giovedì 30 agosto 2012
Valentina Buono recensisce "Tanto già lo sapevo" di Loredana De Vitis
Tanto già lo sapevo
Un romanzo che si fa leggere con levità, ma che penetra e scava con la forza di un maremoto. Lo stile è curato, ma mai artefatto; il registro colloquiale, ma mai banale; i personaggi indagati e resi in maniera così vera, autentica ed incisiva che ci pare di conoscerli da una vita. La parola - forza e perno dell’opera - rotea nei nostri pensieri e colpisce proprio l’obiettivo che si era prefissata. Con leggerezza, ironia ed intelligente sarcasmo il romanzo decolla da subito e non decelera mai, percorso da una vena umoristica non da poco. Quasi 300 pagine che vale la pena di leggere. Lo scritto al suo interno ne contiene tanti altri, proprio come una scatola cinese. Il romanzo è il viaggio di una trentenne, Anna, alla ricerca dell’amore, ma prima ancora di se stessa. La ricerca è lunga, articolata, difficile... per fortuna la protagonista si lascia aiutare dal suo alter ego con cui dialoga spesso, dal suo cuore "pazzo" ed anticonformista e da un’indole ironica ed autoironica. Le amiche, sua madre, i conoscenti, il piccolo Marco, gli amici degli amici e tutti gli altri personaggi che popolano questa eccezionale vetrina umana interagiscono variamente con Anna, nell’ambito di una dialettica spesso contraddittoria, ma sempre proficua nell’ottica della formazione della protagonista. Nel suo percorso formativo Anna riuscirà a comprendere che l’Amore vero, totalizzante e straordinario nella sua normalità, esiste...ma "tanto lei già lo sapeva", a dispetto delle convenzioni sociali, delle bigotterie e del perbenismo. Anna ci conquista, immediatamente. Ci conquista la sua capacità di osservare, filtrare e rielaborare la realtà umana, in tutte le sue sfaccettature. Al di là delle convenzioni, al di là del perbenismo e soprattutto in barba ai sensi di colpa, che opacizzano e neutralizzano la forza primaria dei sentimenti. Un libro da leggere, assolutamente! Con il sentitissimo augurio che il grande talento e l’intelligenza emotiva che contraddistinguono l’autrice le aprano le porte di una meritata carriera da scrittrice.
venerdì 10 agosto 2012
Editoria on line
Attualmente uno dei maggiori siti web attraverso cui è possibile stampare libri e coronare il proprio sogno di scrittore è ilmiolibro.it, il sito di editoria digitale di L'Espresso. Tuttavia ve ne sono molti altri, affidabili e seri, quali Liberaria editrice, ad esempio, che si sta facendo spazio grazie all'intraprendenza e la competenza di una giovane di talento, Giorgia Antonelli, la quale ha investito in un sogno.
Torniamo a ilmiolibro.it: pubblicare tramite questa casa editrice digitale è facile e abbastanza economico, ma dà numerosi vantaggi, quali quello di ricevere in assegnazione per la propria opera il codice ISBN, che ne permette la registrazione e l'inserimento nell'indice dei libri pubblicati in Italia. La pubblicazione compare a nome dell'autore stesso. Il risultato è fenomenale: l'autore è proprietario assoluto dei diritti sulla sua opera.
Il sito, inoltre, offre la possibilità di pubblicare qualsiasi genere di libro (si tratta di un'editrice di Varia), un'ampia scelta e un'altrettanto ampia autonomia di impostazione per quel che riguarda la veste tipografica e la struttura dell'opera. Insomma, l'autore è editore di sé stesso a tutto tondo e sarà la Community a scoprire, recensire e commentare il suo libro. La logica è quella della condivisione e del passa-parola telematici. Direte voi - l'autore cosa ci guadagna?
E io vi rispondo: visibilità, fama e soldi, ma questi ultimi solo se riesce a gestire per il meglio la questione legata alla lettura on line del suo libro. Mi spiego meglio: sul sito è possibile leggere l'anteprima di ogni libro gratuitamente, ma integralmente l'opera può essere visionata solo da chi sceglie la modalità Talent Scout, che permette di leggere il testo per intero allo scopo di spingere i lettori a scrivere una recensione e quindi, di fatti, a promuovere il libro. Molti autori, giustamente, dopo avere acquisito una certa visibilità all'interno del sito e tramite le classifiche in esso stilate, eliminano tale opzione, costringendo così quanti siano interessati a leggere l'opera nella sua completezza ad acquistarla. L'acquisto può avvenire sempre on line, oppure nell'ambito del circuito Feltrinelli, nei quali punti vendita ogni libro può essere ordinato e ritirato nel giro di 3 giorni lavorativi.
Tra le altre cose, va detto anche che i libri scaricati gratuitamente sulla propria pagina (previa registrazione al sito) non sono stampabili da casa... ebbene sì, proprio così... sarebbe troppo facile stampare un libro e leggerselo in maniera del tutto clandestina senza avere pagato per i diritti d'autore... solitamente comunque i prezzi di copertina sono contenuti ed accessibili.
Ilmiolibro.it è dunque una fucina letteraria, una vetrina bibliografica ed un salotto culturale. Miele per scrittori e lettori, fermento di idee anche nuove... e proprio come in libreria vi si trova di tutto... il bello sta proprio nella scoperta... e le sorprese sono tante, perché l'Italia -lacera e ferita- è ancora un Paese di scrittori e di sognatori. Grazie, dunque, all'editoria digitale!
venerdì 3 agosto 2012
La vogatrice Nadja Drygalla è stata espulsa dalle Olimpiadi
La vogatrice Nadja Drygalla è stata espulsa dalle Olimpiadi londinesi per volere della Federazione tedesca. Il motivo della sua espulsione, che tanto scalpore ha destato, sarebbe costituito dal legame della sportiva con un noto esponente del movimento neo-nazista.
Francamente non ritengo che un provvedimento del genere faccia bene allo Sport, né alla società, in quanto credo che la vogatrice avesse tutti i diritti di partecipare alla gara. Attualmente è impegnata con il giovane neo-nazista, ma ha soli 23 anni e magari non sarà lui l'uomo della sua vita... forse però questa potrebbe essere stata l'unica volta in cui ha partecipato alle Olimpiadi...
Non ritengo giusto che sia stato spezzato il sogno della ragazza, a causa delle sue frequentazioni... in fondo non si è dopata, non è stata scorretta...
Certi provvedimenti lasciano il tempo che trovano, ma è anche vero che per la Germania e per il mondo intero la parentesi del Nazismo hitleriano rappresenta un orrore indelebile.
Tuttavia non è giusto che il rancore e la paura vadano a recidere i sogni dei giovani...
ma quest è solo il mio umile parere... per quello che può contare....
mercoledì 1 agosto 2012
Dawson's Creek e il trionfo dei sentimenti
Salve a tutti!
E salve soprattutto ai fans di DAWSON'S CREEK, la bellissima serie televisiva statunitense del genere teen drama, creata da Kevin Williamson. La serie è stata trasmessa negli Stati Uniti (e quasi contemporaneamente anche in Italia) dal 1998 al 2003, per un totale di sei stagioni e 128 episodi.
La trama si svolge prevalentemente a Capeside, un piccolo paese del Massachusetts.
Dawson Leery, il protagonista, è un aspirante regista, sognatore e romantico. Dopo un'infatuazione per la nuova arrivata Jen Lindley, si scopre innamorato della sua amica di infanzia Joey Potter, orfana di madre, e con il padre in carcere, che manda avanti con la sorella il bed and breakfast di famiglia; Pacey Witter è il migliore amico di Dawson, continuamente frustrato da una famiglia che lo considera un fallito, ma molto ironico e scanzonato; Jen Lindley è una sveglia ragazza di New York, trasferitasi a Capeside per cambiare vita. Ai quattro protagonisti si uniscono nella seconda stagione anche i fratelli Jack ed Andie McPhee: il primo è un timido ragazzo che si rivela essere omosessuale e che deve quindi affrontare la mentalità della provincia, mentre la seconda è una ragazza sensibile ed intelligente afflitta da disturbi di ansia e panico.
Le storie sentimentali dei sei ragazzi si intrecciano con la loro vita di tutti i giorni, fra gli ultimi anni della scuola superiore ed i primi anni del college. Dalla terza stagione in avanti il perno della trama è principalmente il triangolo amoroso che viene a crearsi fra Dawson, Joey e Pacey. In realtà il triangolo c'è da ben prima della terza stagione. Joey tra Peacy e Dawson, sempre, al liceo, all'università...
Qualsiasi sia la scelta finale di Joey, non conta, perché questa è solo la trama. La cosa più importante è il percorso che questi ragazzi fanno per crescere ed affrontare piccole e grandi difficoltà. Insieme, anche se la vita li allontanerà più volte e in qualche caso definitivamente.
In Dawson's Creek rivediamo gli adolescenti che eravamo e riviviamo i loro sogni, i loro ideali, che erano anche i nostri... Fantastici anni '90, così lontani dagli attuali... chissà se gli adolescenti di oggi apprezzano una serie come questa... in verità ho i miei dubbi, ma non perché io li ritenga meno sensibili o meno intelligenti: tutt'altro... solo credo che non abbiano una sufficiente educazione sentimentale per comprendere che spesso l'amore e l'amicizia travalicano i confini immaginati ed immaginabili e - come recita il finale della sesta ed ultima stagione della fortunata serie televisiva - "due anime gemelle, vanno al di là dell'amicizia e al di là dell'amore". Penso che questa frase sintetizzi quel processo di sublimazione di sentimenti nobili, quali Amore ed Amicizia, troppo spesso vissuti in maniera riduttiva e superficiale.
Di una cosa sono sicura: i miei figli, da adolescenti, vedranno Dawson's Creek.
mercoledì 25 luglio 2012
Fusilli alla crema di carote e prosciutto cotto
Eccoci qua! Dopo numerosi post dedicati alla moda, alla letteratura e allo stile, oggi voglio fissare nero su bianco una semplicissima ricetta per un primo piatto gustoso e leggero...
Prendete 3 carote medio-grandi e, dopo averle mondate e lavate, grattuggiatele a mo' di julienne. Una volta compiuta questa semplice operazione, in una casseruola versate dell'acqua per un terzo del suo volume: ora versate all'interno le carote e lessatele per mezz'ora. Una volta che le carotine saranno ben cotte, prelevatele con un mestolo bucato e mettetele in un piatto fondo.
Nel frattempo, in un'altra casseruola, anche piccola, versate 2 cucchiai di olio di oliva e fatelo scaldare per qualche secondo, versate nell'olio bollente il misto per soffritto (cipolla, sedano e carotina) e fate rosolare per 2 minuti con la fiamma al minimo. A questo punto versate nel soffritto le carotine lesse e aggiungete un terzo di un bicchiere di brodo vegetale, già salato. Fate insaporire tutto per 10 minuti. Adesso, dopo aver controllato che un po' di brodo sia evaporato, doveste utilizzare il mini-pimer (il centrifugatore ad immersione) e trasformare le carotine in una gustosa crema vegetariana. Lessate i fusilli e tirateli fuori al dente: ora spadellateli nella crema finché sono completamente mantecati, aggiungendo dei dadini di prosciutto cotto e una spruzzata di formaggio parmigiano. Continuate a mantecare e servite con una spolverata di prezzemolo tritato ed erba cipolllina.
Buon appetito!
Prendete 3 carote medio-grandi e, dopo averle mondate e lavate, grattuggiatele a mo' di julienne. Una volta compiuta questa semplice operazione, in una casseruola versate dell'acqua per un terzo del suo volume: ora versate all'interno le carote e lessatele per mezz'ora. Una volta che le carotine saranno ben cotte, prelevatele con un mestolo bucato e mettetele in un piatto fondo.
Nel frattempo, in un'altra casseruola, anche piccola, versate 2 cucchiai di olio di oliva e fatelo scaldare per qualche secondo, versate nell'olio bollente il misto per soffritto (cipolla, sedano e carotina) e fate rosolare per 2 minuti con la fiamma al minimo. A questo punto versate nel soffritto le carotine lesse e aggiungete un terzo di un bicchiere di brodo vegetale, già salato. Fate insaporire tutto per 10 minuti. Adesso, dopo aver controllato che un po' di brodo sia evaporato, doveste utilizzare il mini-pimer (il centrifugatore ad immersione) e trasformare le carotine in una gustosa crema vegetariana. Lessate i fusilli e tirateli fuori al dente: ora spadellateli nella crema finché sono completamente mantecati, aggiungendo dei dadini di prosciutto cotto e una spruzzata di formaggio parmigiano. Continuate a mantecare e servite con una spolverata di prezzemolo tritato ed erba cipolllina.
Buon appetito!
martedì 24 luglio 2012
TuttoDante 2012
Un grande Roberto Benigni, una bellissima cornice architettonica - quella della piazza di Santa Croce, in cui campeggia la statua di Dante Alighieri - e le terzine del Sommo Poeta. Tre ingredienti affinché la ricetta riesca nel migliore dei modi.
Una lettura dell'Inferno dantesco colta e semplice al tempo stesso, preceduta da mezz'ora di satira politica e sociale con un occhio sempre rivolto ai tempi in cui Dante è vissuto: ne emerge un contrasto stridente, a detrimento della società attuale. L'arditezza linguistica, la precisione semantica, le vette poetiche sono rese e tradotte da Benigni in maniera encomiabile. Grazie a lui Dante può essere compreso veramente da tutti, uscendo fuori dalle Accademie, senza che mai vengano sacrificate la precisione esegetica e la ricostruzione del contesto.
Per finire, la recita dell'intero canto da parte dell'artista restituisce le intricate pieghe dell'animo dei dannati con finezza interpretativa e straordinaria empatia.
Un grazie infinito a Roberto Benigni, grande uomo, ancor prima che immenso artista.
lunedì 23 luglio 2012
Vacanze e diario di viaggio
Giugno,
luglio e agosto sono mesi deputati alle vacanze. Milioni di persone si spostano
dalle loro case per raggiungere le località in cui hanno scelto di trascorrere
le proprie ferie. Crisi o non crisi, il movimento migratorio c’è sempre, talora
più intenso e massiccio, talaltra meno.
Quelli
della vacanza sono giorni sognati da molti per un anno intero, giorni in cui si
può frapporre una distanza anche mentale tra se stessi e la routine… giorni spesso fatti di riposo,
divertimento, svago, avventura, conoscenza di cose nuove, cultura… ognuno
modella la propria vacanza in base alle proprie esigenze ed aspettative.
Per
conservare intatto e vivido anche a distanza di anni il ricordo di una vacanza, vi consiglio di tenere un DIARIO DI VIAGGIO,
sul quale appuntare tutto, ma proprio tutto quello che fate e vi accade, oppure solo le
cose più importanti, belle ed emozionanti: una sorta di memorandum da sfogliare e risfogliare nei momenti di stress,
stanchezza e sconforto quando si torna alla vita lavorativa e alle piccole e
grandi difficoltà quotidiane.
Una
belle idea? Ma sì!!! Dai, munitevi di un taccuino, una penna e un po’ di
costanza e il gioco è fatto!!!
venerdì 20 luglio 2012
Scegliere la Letteratura come percorso di vita - Parte I
Ho deciso di
scrivere. Sì, scriverò la storia della mia passione per la letteratura. Vi
racconterò anche della ricerca di un lavoro, che è poi la ricerca di un
percorso di vita. Uno dei tanti possibili.
Vi ricordate
quel film di qualche anno fa, Sliding
doors? Immagino che a molti di voi sarà noto… ci pensate spesso, vero, al fatto che, nel bene e nel
male, ogni scelta si ripercuote sul percorso della nostra vita?
Torniamo subito a
me. Nel 1999, conseguito il diploma di maturità classica, scelsi di iscrivermi
alla facoltà di Lettere. Non sapevo nulla altro, se non che amavo leggere e
analizzare i testi letterari. Ah, un’altra cosa la sapevo: mi attraeva spiegare
agli altri il contenuto dei testi e le impressioni che ricavavo dalla loro lettura.
Queste poche, ma ferree convinzioni mi sembravano un buon inizio per
intraprendere la carriera del Letterato!
Da romantica
appassionata e passionale quale sono, scrivevo anche poesie. Ancora adesso, sia
chiaro, mi piace farlo, benché l’ardore adolescenziale, svanendo con l’età, si
sia trascinato dietro la massima parte dell’ispirazione poetica. Con la poesia liberavo tra
le righe quelle parole che restavano imbrigliate nelle pieghe del mio animo e
permettevo loro di spiegarsi e di mostrarmi, completamente vera,
inequivocabilmente nuda. La poesia mi consente sempre di vedere me stessa e gli
altri sotto una luce diversa. Ha il potere di scandagliare anche i più remoti
recessi dell’io, anche quelli di cui ignoriamo l’esistenza. Scriviamo non quello che mostriamo o pensiamo di essere, ma quello che siamo
davvero. Quelle parole che sgorgano dalla nostra biro sono un surrogato del
nostro cuore, del nostro intelletto, del nostro vissuto. Siamo un'unica cosa,
noi e loro.
Insieme alla
passione poetica, ne coltivavo un’altra, diversa ma simile, a ben guardare. Ero
attratta irresistibilmente dalle note esplicative nei testi scolastici che antologizzavano brani tratti
da opere della classicità latina e greca. In quel periodo della mia esistenza pensavo
che avrei lavorato in una casa editrice e sarei stata una di quelle Entità,
vaghe, indefinite, irraggiungibili, che per mestiere scrivono le note nei testi
di scuola… sogni di adolescente, non c’è dubbio. Eppure in quelle
adolescenziali velleità, mescolate ad un fervore puro e incontaminato da
riflessioni utilitaristiche ed economicistiche, trovai la chiave per decidere
il mio futuro.
Oggi sono
passati 14 anni e non rimpiango, né mai rimpiangerò, la scelta fatta quando di anni ne avevo solo 18.
E come potrei, se al solo sentire parlare di libri, romanzi, poesie mi sento pervadere
da una strana euforia? Penso sia un misto di gioia estatica, rapimento
arrendevole e smisurato orgoglio. Vi chiederete perché, forse, o più
probabilmente penserete che sono un’esaltata… se avrete la pazienza di leggere
ancora un po’, cercherò di spiegarvi meglio.
Avete presente i
brividi e la sensazione di avere la pelle increspata? Beh, quando mi trovo a
leggere qualcosa di veramente speciale, qualcosa che riesce a toccare le corde
più profonde del cuore, qualcosa che fa piangere, ridere e non solo, allora mi
si increspa la pelle e mi sento così intimamente felice ed appagata, che mi
sembra di avere aggiunto un tassello fondamentale nella costruzione della mia
esistenza.
Eppure non sono
molte le opere che riescono a penetrare ed impregnare le coscienze fino a
questo punto. Quelle poche io le chiamo Capolavori e, in barba alla grammatica,
lo scrivo con la C maiuscola.
Quanti libri
avrò letto dai 6 anni fino ad ora che di anni ne ho 3-(no, non ve lo dico!!!)? Mah, chi lo sa, non li
ho mai contati… ricordo benissimo, invece, quali sono quelli che mi hanno
segnata, formata e trasformata, fin dalla radice del mio Essere. Tutto ciò che
leggiamo, a pensarci, svolge nella vita una qualche funzione: le riviste di
moda, quelle di attualità, i romanzi di avventura, i racconti noir, i romazi
gialli, quelli rosa… e chi più ne ha, più ne metta, certo! Solo pochi, però, sono
gli scritti che diventano parte di noi.
Oggi i
ringraziamenti, le lamentele e le recriminazioni per quello che sono, non li
rivolgo solamente ai miei genitori, ma anche a Verga, Leopardi, Stendhal,
Pirandello, Catullo, Properzio, Pascoli, Baricco, Omero, Flaubert, Virgilio,
Prevért, Euripide, Seneca, Petrarca, Svevo, De Amicis, Alcott… (l’elenco
sarebbe troppo lungo e non voglio annoiarvi!)… questi signori, proprio come i
miei genitori, mi hanno svezzata, educata, mi hanno istruito, pur senza volerlo
esplicitamente. Quest’ultimo concetto lo ritengo fondamentale. Loro non
volevano istruirmi, ma lo hanno fatto. Loro non erano formalmente miei docenti,
eppure mi hanno insegnato tantissime cose…
… e sull’onda di
quella euforia e di quelle sensazioni che provo quando leggo qualcosa di
“speciale” e che ho cercato malamente di rendere a parole, un decennio fa (e
forse ancor prima) decisi di votare il mio futuro alle Lettere…
Poesie d'amore 2
Dolcezza
Chiara e luminosa di inverno,
morbida e dorata per il sole estivo,
la tua pelle è un abbraccio caldo
nel mio gelo.
Rifugio, porto sicuro.
La mia fronte
sulla tua guancia.
Si placano i venti.
Poesie d'amore 1
Ci sei
Ci sei,
segno indelebile nella mia
esistenza,
a scandire i miei giorni,
con discrezione infinita,
con un abbraccio accogliente,
largo,
profondo.
Recensione a Lucia Pasetti, Plauto in Apuleio, Pàtron editore, Bologna 2007, pp. 227.
Il
lavoro della Pasetti, che è una rielaborazione della sua tesi di dottorato, va
ad arricchire il catalogo della prestigiosa collana diretta da Alfonso Traina Testi e manuali per l’insegnamento universitario
del latino.
Oggetto
dell’indagine sono gli echi plautini nel lessico e nello stile di Apuleio: si
tratta di una questione che affonda le proprie radici nell’età umanistica,
quando Plauto ed Apuleio erano sistematicamente studiati in maniera comparativa
e non di rado il testo del sarsinate veniva usato per sanare alcuni guasti in
quello del madaurense.
Il saggio si apre con un’introduzione
sintetica ma ben argomentata (pagg. 7-10), nella quale si dà conto della
materia trattata, della storia degli studi, della metodologia di ricerca
adottata e, naturalmente, delle finalità scientifiche perseguite. Fanno seguito
tre sostanziosi capitoli, che costituiscono il corpo centrale del saggio, al
termine dei quali una bibliografia ricca ed aggiornata offre un valido sussidio
a quanti vogliano intraprendere ricerche di carattere linguistico-stilistico su
Apuleio e Plauto. Molto utile è anche l’ultima sezione del saggio, riservata agli
indici: accanto a quelli degli autori citati (prima gli antichi e poi i
moderni), vi è un ricchissimo indice analitico, che rappresenta uno strumento
di consultazione rapido e agevole per quanti si occupano di diminutivi, avverbi
in –tim e composti nominali in
Apuleio e/o in Plauto: sono proprio queste, infatti, le tre categorie lessicali
sulle quali la Pasetti incentra il prorio lavoro di ricerca e sulle quali verte
l’intera trattazione.
L’analisi dei diminutivi in Apuleio occupa
il primo capitolo. La studiosa osserva che, mentre in età classica si registra
una presenza limitata e sorvegliata di tali lessemi attinti al sermo cotidianus, essi rappresentano
invece una peculiarità della lingua d’età arcaica e di quella del periodo arcaizzante.
Nel lessico apuleiano, in particolare, i diminutivi si incontrano con elevata
frequenza, perché contribuiscono spesso ad instaurare un certo parallelismo
lessicale e a stimolare la creatività linguistica dell’autore. Il madaurense, riproponendo
lessemi già presenti nella lingua di Plauto, riprende la spiccata propensione
del commediografo per l’uso dei diminutivi. A parere della Pasetti «se in
alcuni casi la ripresa apuleiana si spiega sulla base di un’affinità
contestuale o di un preciso richiamo stilistico […], in altri essa sembra
dettata da esigenze puramente formali, legate per lo più alla funzionalità
fonica o retorica del significante» (pag. 22).
Successivamente la Pasetti passa in rassegna i diminutivi
presenti unicamente in Apuleio e in Plauto, con lo scopo di capire «fino a che
punto sopravviva nel testo apuleiano la memoria della loro origine» (pag.14).
L’analisi è condotta su breviculus, corculum, dicaculus, formula, hamulus, morsiuncula, pulvisculus/-um, saepicule, scitulus, turbel(l)a, unguiculus.
Segue l’analisi dei diminutivi apuleiani modellati su
quelli plautini, vale a dire quelle neoformazioni apuleiane il cui modello
plautino non è sempre direttamente recuperabile (in ordine di trattazione: bellule, ampliusculus, posticula, tantillulus, pullulus, palumbulus, mellitulus, unctulum).
L’indagine si sofferma su alcuni diminutivi di origine
plautina che «pur non essendo recuperati esclusivamente da Apuleio, risultano
comunque interessanti […] in quanto, designando oggetti o personaggi
caratteristici sia del romanzo che della commedia, sono rivelatori di uno stretto
rapporto tra i due generi» (pag. 27). La trattazione riguarda servolus, sportula, adulescentula,
aetatula, diecula, mensula, re(s)cula, uxorcula.
A proposito dei procedimenti adottati da entrambi gli
autori nell’uso dei diminutivi che costituiscono un particolare ethos comico, la studiosa parla di
«comicismi più che di plautinismi» (pag. 31), poiché Apuleio mutua da Plauto
non soltanto i lessemi, ma anche i procedimenti di utilizzo degli stessi, come
per esempio il diminutivo continuato e l’enumeratio;
molto amati da Apuleio, inoltre, appaiono i diminutivi afferenti al lessico
tecnico.
Il ricorso al diminutivo da parte di Apuleio assolve
ad una triplice funzione: in primo luogo, conferendo al testo un marcato carattere
fonico, esso lo rende simile alla poesia, in secondo luogo, rappresenta una
spia del sermo comicus e, in terzo
luogo, costituisce l’elemento fondante della Kunstprosa. Tuttavia, a caratterizzare la lingua di Apuleio,
accanto ad una marcata ripresa del lessico e dei procedimenti fonico-stilistici
di Plauto, concorrono numerose influenze di altri autori arcaici, individuate
alle pagg. 36-48.
Al termine del primo capitolo tre tabelle offrono la
schedatura in ordine alfabetico dei diminutivi presenti negli opera omnia di Apuleio con le relative
occorrenze, le attestazioni dei diminutivi rintracciati in tutte le commedie
plautine e una lista dei diminutivi comuni ad entrambi gli autori.
Nel secondo capitolo oggetto di indagine sono gli
avverbi in –tim che, intesi come una
categoria lessicale a sé stante, costituiscono un ulteriore punto di contatto
tra la lingua di Apuleio e quella di Plauto. Tuttavia, prima di procedere ad
un’analisi di tipo comparativo tra i due autori è affrontata la questione
dell’origine di tali avverbi: si tratta senza dubbio di arcaismi, che proprio
in virtù della loro patina arcaica, vengono immancabilmente ripresi dagli
autori del periodo arcaizzante. La Pasetti si dedica, quindi, all’analisi di
tali lessemi nella lingua di Plauto, distinti in denominativi e deverbali. Tra
i denominativi si distinguono quelli di senso distributivo significanti “a
pezzi”, “in briciole” (articulatim, assulatim, frustillatim, offatim). Nel sermo plautino «gli avverbi in –tim
sono frequentemente inseriti in catene allitteranti, mentre non vengono mai
sfruttati fonicamente per la loro terminazione» (pag. 74). Successivamente
vengono passati in rassegna gli avverbi in –tim
presenti nella lingua apuleiana, tra i quali si annoverano numerose
neoformazioni (aggeratim, agminatim, capreolatim, coaceruatim, congestim, cunctim, discretim, fistulatim, laciniatim, granatim). Contrariamente a Plauto, Apuleio
sfrutta tali lessemi per creare effetti fonici, aggregandoli frequentemente in
coppie omoteleutiche e isosillabiche. I casi di condivisione tra Plauto ed
Apuleio degli avverbi in –tim vengono
circoscritti a quattro (adfatim, efflictim, examussim e guttatim); tuttavia
sono passate in rassegna anche altre tracce del modello plautino, differenti
dal semplice recupero di lessemi dalla provenienza indubbia.
Il terzo ed ultimo capitolo del saggio concerne i
composti nominali, un tipo di lessema originariamente estraneo alla lingua
latina ma ben presente in quella greca.
Segue una breve sezione dedicata ai composti nominali
utilizzati da entrambi gli autori, ma attestati anche altrove, e subito dopo
oggetto di indagine sono i composti nominali comuni ai due autori e attestati
unicamente nelle loro opere (cordolium e
opiparus). L’attenzione si sposta,
quindi, sulle forme peculiari della dictio
comica adoperate da Apuleio (morigerus, furcifer, sacrilegus e versipellis);
infine, vengono passate in rassegna le neoformazioni apuleiane ispirate a
modelli plautini e si procede all’analisi dei composti che Apuleio attinge dalla
Dichtersprache.
Le pagg. 136-147 sono occupate da riflessioni di
carattere conclusivo in merito alle analogie e alle differenze nell’utilizzo
dei composti nominali in Plauto e in Apuleio. Il materiale raccolto viene
organizzato in due tabelle di occorrenze: la prima include i composti nominali
reperiti nelle opere apuleiane, la seconda quelli rintracciati nel tessuto
linguistico delle commedie plautine.
Le conclusioni generali (pagg. 159-163), oltre a ribadire
i criteri metodologici adottati, sintetizzano gli obiettivi raggiunti nel corso
della ricerca: dall’analisi comparativa della lingua di Apuleio e Plauto, sulla
base delle tre categorie lessicali inizialmente scelte dall’autrice del saggio,
sono emersi differenti livelli di fruizione del modello plautino da parte di
Apuleio. Il primo livello fruitivo interessa semplicemente la ripresa
semantico-lessicale da parte di Apuleio nei confronti di Plauto; il secondo
livello riguarda, invece, quei vocaboli che evocano ambienti e situazioni
propri della commedia, ma non sono direttamente attestati. Un posto a sé stante
occupano i neologismi coniati dal madaurense sui modelli plautini. Ad ogni
modo, «un aspetto comune alle diverse modalità di fruizione è […] il privilegio
costantemente accordato da Apuleio alla dimensione fono-stilistica» (pag. 160).
Il lavoro della Pasetti, condotto con rigore e metodo,
costituisce un tassello importante nella storia degli studi sull’argomento. Infatti,
se si eccettua la dissertazione ottocentesca di Desertine [H. Desertine, De Apulei studiis Plautinis, diss. Nymwegen
1898], che affronta la questione dei rapporti linguistici tra Apuleio e Plauto,
ma si risolve in una mera schedatura di lessemi decontestualizzati, e si
escludono il lavoro di Callebat [L. Callebat, Sermo cotidianus dans les Métamorphoses d’Apulée, Caën 1968] e pochissimi studi inerenti all’influsso degli
arcaismi plautini sull’opera apuleiana (pag. 9), non molto si è detto sul
complesso rapporto tra Apuleio e Plauto. Alla Pasetti va riconosciuto soprattutto
il merito di essere andata oltre la ricerca delle semplici riprese linguistiche
di Plauto da parte di Apuleio: la studiosa mette in luce negli scritti di
Apuleio il recupero dell’ethos comico
plautino e vi rintraccia i complicati rapporti allusivi con l’opera di Plauto.
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