Carmelo Salemme, Il canto del Golfo. Le Eclogae piscatoriae di Iacopo Sannazaro, in Studi
Latini, Loffredo editore, Napoli 2007, pp. 108.
Oggetto
del saggio di Carmelo Salemme sono le cinque Eclogae piscatoriae di Iacopo Sannazaro: si tratta di componimenti
lirici in latino modellati sulla poesia bucolica tradizionale, che hanno un’ambientazione
marina, quella del Golfo di Napoli, e propongono uno scorcio della vita dei
pescatori. Salemme ne individua i modelli letterari di riferimento negli Idilli di Teocrito e nelle Bucoliche di Virgilio e mette in rilievo
il ruolo protagonistico in essi svolto dal Golfo di Napoli. Lo studioso evidenzia
come al tessuto lirico si intreccino con naturalezza ed eleganza riferimenti
dotti ed eruditi e rileva gli ampi spazi che il Sannazaro riserva alle
vicissitudini della dinastia aragonese: in essi si scorge non soltanto un
intento celebrativo, ma vi è piena «coscienza di una crisi storica» (pag. 8),
di un radicale cambiamento sociale e politico ormai ineluttabile.
Il saggio di Salemme si articola in cinque capitoli,
uno per ciascuna ecloga.
Il
primo capitolo, dal titolo Il canto del
Golfo. La I Piscatoria, si incentra soprattutto sulla descrizione della
natura del golfo di Napoli, trasfigurata mediante il filtro della memoria,
della letteratura e dell’immaginario poetico.
Nell’analisi della sezione iniziale del componimento,
quella dedicata al compianto di Fillide da parte del pescatore Licida,
condiviso dalla natura tutta, lo studioso mette in evidenza il debito dell’umanista
napoletano nei confronti di Teocrito (Id.
1,71-75) prima, e di Virgilio (Buc.
5,27-28) poi, in merito al motivo della compartecipazione della natura al
dolore umano. Inoltre, Salemme, accanto alla presenza di questi due
macro-modelli, scorge suggestivi echi del poema didascalico di Virgilio, le Georgiche, del romanzo pastorale che lo
stesso Sannazaro compose in età giovanile, l’Arcadia, in particolare della XII Ecloga, e, quindi indirettamente, della Lepidina del Pontano.
Il secondo motivo sviluppato dal Sannazaro nella I Piscatoria, di cui Salemme individua il modello privilegiato nella XII Ecloga dell’Arcadia (vv. 115-117), è l’attrazione che il disperato Licida prova
nei confronti della morte, identificata con le profondità del mare in tempesta,
in cui il piscator desidera
confondersi alle schiere di Tritoni, ai branchi di balene e alle foche dal
corpo deforme (vv. 72-76).
Il secondo capitolo del saggio, dal titolo Antico e nuovo nella II Piscatoria,
mette in evidenza i molteplici debiti del Sannazaro nei confronti della II Bucolica accanto ai pur numerosi
elementi di innovazione. A pag. 29 la II Piscatoria
è definita come «un canto d’amore immerso nella cornice del Golfo»: si tratta del
canto che il pescatore Licone effonde per l’amata Galatea dai meandri di una
grotta, facendolo risuonare per l’intero golfo tutta la notte fino allo
spuntare del sole. Il canto d’amore di Licone è molto simile a quello che nella
II Bucolica il pastore Coridone innalza
come omaggio all’amato Alessi, mentre vaga per monti e selve in un assolato
pomeriggio d’estate. Forte nel Sannazaro è il contrasto tra la quiete notturna
e la sofferenza interiore di Licone, un contrasto che affonda le sue radici in
un frammento di Alcmane (89 P.) e nel II Idillio
di Teocrito (vv. 33-35), oltreché nel sommo poema virgiliano, laddove il profondo
silenzio e l’estrema tranquillità della natura stridono fortemente con lo stato
d’animo di Didone, ormai prossima al suicidio (Aen. 4,522-528).
I doni che Licone offre a Galatea sono i frutti del mare,
cioè ostriche, ricci di mare, murici (vv. 30-38), cui aggiunge della morbida
lana, più soffice della schiuma del mare (vv. 39-46): essi sono la
riproposizione cum variatione dei
doni che Coridone vorrebbe offrire ad Alessi (Buc. 2,40-55). Se è vero che il particolare della soffice lana
trova il suo antecedente in Teocrito (Id.
5,50 e 15,125), è anche vero che esso allude inequivocabilmente al Virgilio
bucolico (2,36-38). Sannazaro, infatti, presentando questo speciale dono fatto
al pescatore Licone dal pastore Meliseo come un riconoscimento per avere pionieristicamente
diffuso il canto lirico sul litorale napoletano, rinvia alla zampogna a sette
canne di virgiliana memoria, donata a Coridone dal pastore Dameta come simbolo
del perpetuarsi della tradizione lirica pastorale.
Salemme, tuttavia, per quanto riguarda gli ipotesti
letterari della II Piscatoria, segnala
accanto al macro-modello della II Bucolica
anche la X (vv. 64-69), relativamente al motivo dei lunghi viaggi che gli
innamorati delusi intraprendono per obliare l’amore perduto, e gli Idilli
VI e XI di Teocrito, per quanto riguarda la figura di Galatea, la ninfa di
cui è perdutamente innamorato Polifemo.
Il terzo capitolo, Unità
e interpretazione della III Piscatoria, punta l’attenzione in primo luogo
sullo sfondo naturalistico della narrazione (un desolato golfo di Napoli, le
cui grotte vengono continuamente sferzate dal mare burrascoso), e in secondo
luogo sul macro-modello letterario sotteso al componimento, che a parere dello
studioso è la VII Bucolica, benché
rispetto ad essa la piscatoria abbia
una struttura di gran lunga più complessa. A pag. 43 Salemme afferma che, per
lo meno apparentemente, ci si trova « di fronte ad un componimento […] del
tutto carente di unità poetica e fantastica», in quanto vi si possono
individuare tre sezioni molto diverse e poco interrelate: la prima (vv. 1-36)
esprime l’inconsolabile tristezza del Sannazaro per l’esilio di Federico di
Aragona ed è caratterizzata da un realismo descrittivo di matrice teocritea; la
seconda (vv. 37-93) consiste in un lungo canto d’amore amebeo tra Iola e Cromi;
la terza (vv. 94-101) rappresenta, infine, la conclusione del componimento. Sono
soprattutto le prime due sezioni ad apparire sconnesse ed indipendenti. Tuttavia,
poiché nel canto d’amore amebeo vengono elogiati alcuni luoghi del Golfo di
Napoli, a parere di Salemme è proprio il
ricordo dei paesaggi partenopei a costituire la cerniera tra la seconda sezione
e la prima, in cui predomina la tristezza per l’esilio di Federico. A tal
proposito a pag. 58 lo studioso afferma: «il ricordo di Napoli, del Golfo e dei
suoi lidi è contrapposto ai lidi lontani dell’esilio. In una struttura nuova ed
originale il Sannazaro ha creato un componimento ispirato a una rigorosa,
unitaria fantasia poetica.».
La chiusa del componimento (vv. 94-101) è assai
originale, in quanto ci si attenderebbe la proclamazione del vincitore della
tenzone lirica, come accade nel modello privilegiato della VII Bucolica (vv.69-70): nella piscatoria sannazariana, invece, il
primato non è assegnato né a Iola né a Cromi, ma entrambi vengono insigniti di
un premio, proprio come nel IX Idillio
teocriteo (vv. 22-27).
Alla pag. 62 del quarto capitolo, intitolato La IV Piscatoria: problemi di lettura e interpretazione, Salemme delinea
sinteticamente le peculiarità della IV ecloga, affermando che essa è «un’esaltazione mitico-storica di Napoli e
del suo golfo nel contesto delle vicende, ormai declinanti, della casa
d’Aragona». Egli individua, dunque, i due temi principali del componimento:
l’elencazione dei miti attinenti al Golfo e l’elogio delle ricchezze della
Napoli aragonese. Dopo una lunga discussione di carattere filologico (pagg.
61-71), lo studioso si sofferma particolarmente sulla chiusa del componimento, i
vv. 92-96, che coincide anche con la fine del canto di Proteo, e ne individua forti
affinità con i vv. 82-86 della VI
Bucolica di Virgilio, laddove si conclude il canto di Sileno. Sannazaro
pone la rievocazione dei miti del golfo di Napoli e il “catalogo delle ninfe”,
modellato su quello di Verg. Georg.
4,333-351, proprio sulla bocca di Proteo, il pastor liquidi maris (Pisc.
3,62), ossia il cantore del Golfo che ha ormai perso le sue peculiarità
strutturali di indovino e trasformista, ben presenti invece in Omero (Od. 4,349-570) e in Virgilio (Georg. 4,387-395). Il suo canto si
conclude con la triste immagine dell’esilio e della morte di Federico di
Aragona: il silenzio di Proteo è secondo Salemme (pag. 85) il segnale della
conclusione di una dinastia e di un’intera epoca.
L’ultima piscatoria
è esaminata nel capitolo conclusivo del saggio, dal titolo Il silenzio del Golfo. La V Piscatoria. Come sempre Salemme
individua un macro-modello (l’VIII Bucolica
virgiliana), cui affianca un modello “minore” (il II Idillio teocriteo). Numerose sono le riprese di Virgilio a livello
sia strutturale sia tematico-concettuale. Notevole, a parere di Salemme, è l’innovazione
della tematica degli incantesimi e dei filtri magici: essi, menzionati nel
canto di Dorila (vv. 21-73), vengono inseriti e soprattutto contestualizzati nello
sfondo marino del Golfo di Napoli. La piscatoria
si chiude con un non meglio specificato dono di Telgone all’amata Galatea
(vv. 113-121): a precisare la natura del dono contribuisce un passo parallelo della
VIII Bucolica virgiliana, dove il moriens Damone offre a Nisa l’estremo
dono, il sacrificio di se stesso (vv. 59-60). Alla reticenza di Sannazaro sopperisce
dunque la chiarezza di Virgilio. «A questo punto – parafrasa Salemme a pag. 98
proprio a ribadire la centralità del Golfo, considerato dal Sannazaro come
personaggio attivo e partecipe delle dinamiche narrative - non resta a Tritone
che nascondere tra le acque il suo volto ceruleo e al Golfo di chiudersi nel
silenzio».
Fuor di dubbio è la mirabile competenza di Carmelo
Salemme, il quale unisce ad una solida padronanza dei classici greci, latini e
italiani una non comune sensibilità, che lo spinge a scorgere nella finzione
poetica gli aspetti più affascinanti e suggestivi della realtà, fedele o
trasfigurata che sia.
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