giovedì 19 luglio 2012

RECENSIONE a Carmelo Salemme, Il canto del Golfo. Le Eclogae piscatoriae di Iacopo Sannazaro, in Studi Latini, Loffredo editore, Napoli 2007


Carmelo Salemme, Il canto del Golfo. Le Eclogae piscatoriae di Iacopo Sannazaro, in Studi Latini, Loffredo editore, Napoli 2007, pp. 108.



Oggetto del saggio di Carmelo Salemme sono le cinque Eclogae piscatoriae di Iacopo Sannazaro: si tratta di componimenti lirici in latino modellati sulla poesia bucolica tradizionale, che hanno un’ambientazione marina, quella del Golfo di Napoli, e propongono uno scorcio della vita dei pescatori. Salemme ne individua i modelli letterari di riferimento negli Idilli di Teocrito e nelle Bucoliche di Virgilio e mette in rilievo il ruolo protagonistico in essi svolto dal Golfo di Napoli. Lo studioso evidenzia come al tessuto lirico si intreccino con naturalezza ed eleganza riferimenti dotti ed eruditi e rileva gli ampi spazi che il Sannazaro riserva alle vicissitudini della dinastia aragonese: in essi si scorge non soltanto un intento celebrativo, ma vi è piena «coscienza di una crisi storica» (pag. 8), di un radicale cambiamento sociale e politico ormai ineluttabile.
Il saggio di Salemme si articola in cinque capitoli, uno per ciascuna ecloga.
Il primo capitolo, dal titolo Il canto del Golfo. La I Piscatoria, si incentra soprattutto sulla descrizione della natura del golfo di Napoli, trasfigurata mediante il filtro della memoria, della letteratura e dell’immaginario poetico.
Nell’analisi della sezione iniziale del componimento, quella dedicata al compianto di Fillide da parte del pescatore Licida, condiviso dalla natura tutta, lo studioso mette in evidenza il debito dell’umanista napoletano nei confronti di Teocrito (Id. 1,71-75) prima, e di Virgilio (Buc. 5,27-28) poi, in merito al motivo della compartecipazione della natura al dolore umano. Inoltre, Salemme, accanto alla presenza di questi due macro-modelli, scorge suggestivi echi del poema didascalico di Virgilio, le Georgiche, del romanzo pastorale che lo stesso Sannazaro compose in età giovanile, l’Arcadia, in particolare della XII Ecloga, e, quindi indirettamente, della Lepidina del Pontano.
Il secondo motivo sviluppato dal Sannazaro nella I Piscatoria, di cui Salemme individua il modello privilegiato nella XII Ecloga dell’Arcadia (vv. 115-117), è l’attrazione che il disperato Licida prova nei confronti della morte, identificata con le profondità del mare in tempesta, in cui il piscator desidera confondersi alle schiere di Tritoni, ai branchi di balene e alle foche dal corpo deforme (vv. 72-76).
Il secondo capitolo del saggio, dal titolo Antico e nuovo nella II Piscatoria, mette in evidenza i molteplici debiti del Sannazaro nei confronti della II Bucolica accanto ai pur numerosi elementi di innovazione. A pag. 29 la II Piscatoria è definita come «un canto d’amore immerso nella cornice del Golfo»: si tratta del canto che il pescatore Licone effonde per l’amata Galatea dai meandri di una grotta, facendolo risuonare per l’intero golfo tutta la notte fino allo spuntare del sole. Il canto d’amore di Licone è molto simile a quello che nella II Bucolica il pastore Coridone innalza come omaggio all’amato Alessi, mentre vaga per monti e selve in un assolato pomeriggio d’estate. Forte nel Sannazaro è il contrasto tra la quiete notturna e la sofferenza interiore di Licone, un contrasto che affonda le sue radici in un frammento di Alcmane (89 P.) e nel II Idillio di Teocrito (vv. 33-35), oltreché nel sommo poema virgiliano, laddove il profondo silenzio e l’estrema tranquillità della natura stridono fortemente con lo stato d’animo di Didone, ormai prossima al suicidio (Aen. 4,522-528).
I doni che Licone offre a Galatea sono i frutti del mare, cioè ostriche, ricci di mare, murici (vv. 30-38), cui aggiunge della morbida lana, più soffice della schiuma del mare (vv. 39-46): essi sono la riproposizione cum variatione dei doni che Coridone vorrebbe offrire ad Alessi (Buc. 2,40-55). Se è vero che il particolare della soffice lana trova il suo antecedente in Teocrito (Id. 5,50 e 15,125), è anche vero che esso allude inequivocabilmente al Virgilio bucolico (2,36-38). Sannazaro, infatti, presentando questo speciale dono fatto al pescatore Licone dal pastore Meliseo come un riconoscimento per avere pionieristicamente diffuso il canto lirico sul litorale napoletano, rinvia alla zampogna a sette canne di virgiliana memoria, donata a Coridone dal pastore Dameta come simbolo del perpetuarsi della tradizione lirica pastorale.
Salemme, tuttavia, per quanto riguarda gli ipotesti letterari della II Piscatoria, segnala accanto al macro-modello della II Bucolica anche la X (vv. 64-69), relativamente al motivo dei lunghi viaggi che gli innamorati delusi intraprendono per obliare l’amore perduto, e gli         Idilli VI e XI di Teocrito, per quanto riguarda la figura di Galatea, la ninfa di cui è perdutamente innamorato Polifemo.
Il terzo capitolo, Unità e interpretazione della III Piscatoria, punta l’attenzione in primo luogo sullo sfondo naturalistico della narrazione (un desolato golfo di Napoli, le cui grotte vengono continuamente sferzate dal mare burrascoso), e in secondo luogo sul macro-modello letterario sotteso al componimento, che a parere dello studioso è la VII Bucolica, benché rispetto ad essa la piscatoria abbia una struttura di gran lunga più complessa. A pag. 43 Salemme afferma che, per lo meno apparentemente, ci si trova « di fronte ad un componimento […] del tutto carente di unità poetica e fantastica», in quanto vi si possono individuare tre sezioni molto diverse e poco interrelate: la prima (vv. 1-36) esprime l’inconsolabile tristezza del Sannazaro per l’esilio di Federico di Aragona ed è caratterizzata da un realismo descrittivo di matrice teocritea; la seconda (vv. 37-93) consiste in un lungo canto d’amore amebeo tra Iola e Cromi; la terza (vv. 94-101) rappresenta, infine, la conclusione del componimento. Sono soprattutto le prime due sezioni ad apparire sconnesse ed indipendenti. Tuttavia, poiché nel canto d’amore amebeo vengono elogiati alcuni luoghi del Golfo di Napoli,  a parere di Salemme è proprio il ricordo dei paesaggi partenopei a costituire la cerniera tra la seconda sezione e la prima, in cui predomina la tristezza per l’esilio di Federico. A tal proposito a pag. 58 lo studioso afferma: «il ricordo di Napoli, del Golfo e dei suoi lidi è contrapposto ai lidi lontani dell’esilio. In una struttura nuova ed originale il Sannazaro ha creato un componimento ispirato a una rigorosa, unitaria fantasia poetica.».
La chiusa del componimento (vv. 94-101) è assai originale, in quanto ci si attenderebbe la proclamazione del vincitore della tenzone lirica, come accade nel modello privilegiato della VII Bucolica (vv.69-70): nella piscatoria sannazariana, invece, il primato non è assegnato né a Iola né a Cromi, ma entrambi vengono insigniti di un premio, proprio come nel IX Idillio teocriteo (vv. 22-27).
Alla pag. 62 del quarto capitolo, intitolato La IV Piscatoria: problemi di lettura e interpretazione, Salemme delinea sinteticamente le peculiarità della IV ecloga, affermando che essa è «un’esaltazione mitico-storica di Napoli e del suo golfo nel contesto delle vicende, ormai declinanti, della casa d’Aragona». Egli individua, dunque, i due temi principali del componimento: l’elencazione dei miti attinenti al Golfo e l’elogio delle ricchezze della Napoli aragonese. Dopo una lunga discussione di carattere filologico (pagg. 61-71), lo studioso si sofferma particolarmente sulla chiusa del componimento, i vv. 92-96, che coincide anche con la fine del canto di Proteo, e ne individua forti affinità con i vv. 82-86 della VI Bucolica di Virgilio, laddove si conclude il canto di Sileno. Sannazaro pone la rievocazione dei miti del golfo di Napoli e il “catalogo delle ninfe”, modellato su quello di Verg. Georg. 4,333-351, proprio sulla bocca di Proteo, il pastor liquidi maris (Pisc. 3,62), ossia il cantore del Golfo che ha ormai perso le sue peculiarità strutturali di indovino e trasformista, ben presenti invece in Omero (Od. 4,349-570) e in Virgilio (Georg. 4,387-395). Il suo canto si conclude con la triste immagine dell’esilio e della morte di Federico di Aragona: il silenzio di Proteo è secondo Salemme (pag. 85) il segnale della conclusione di una dinastia e di un’intera epoca.
L’ultima piscatoria è esaminata nel capitolo conclusivo del saggio, dal titolo Il silenzio del Golfo. La V Piscatoria. Come sempre Salemme individua un macro-modello (l’VIII Bucolica virgiliana), cui affianca un modello “minore” (il II Idillio teocriteo). Numerose sono le riprese di Virgilio a livello sia strutturale sia tematico-concettuale. Notevole, a parere di Salemme, è l’innovazione della tematica degli incantesimi e dei filtri magici: essi, menzionati nel canto di Dorila (vv. 21-73), vengono inseriti e soprattutto contestualizzati nello sfondo marino del Golfo di Napoli. La piscatoria si chiude con un non meglio specificato dono di Telgone all’amata Galatea (vv. 113-121): a precisare la natura del dono contribuisce un passo parallelo della VIII Bucolica virgiliana, dove il moriens Damone offre a Nisa l’estremo dono, il sacrificio di se stesso (vv. 59-60). Alla reticenza di Sannazaro sopperisce dunque la chiarezza di Virgilio. «A questo punto – parafrasa Salemme a pag. 98 proprio a ribadire la centralità del Golfo, considerato dal Sannazaro come personaggio attivo e partecipe delle dinamiche narrative - non resta a Tritone che nascondere tra le acque il suo volto ceruleo e al Golfo di chiudersi nel silenzio».
Fuor di dubbio è la mirabile competenza di Carmelo Salemme, il quale unisce ad una solida padronanza dei classici greci, latini e italiani una non comune sensibilità, che lo spinge a scorgere nella finzione poetica gli aspetti più affascinanti e suggestivi della realtà, fedele o trasfigurata che sia.
   

                                                                     

Nessun commento:

Posta un commento

Cosa ne pensate?
What do you think about?