venerdì 20 dicembre 2013

Cantami, o Diva, del Pelide Achille l'ira funesta...

Il testo originale dell’Iliade è scritto in lingua greca antica.
Quella qui di seguito da me riprodotta è la traduzione nell’italiano dell’Ottocento fatta dal poeta Vincenzo Monti: le parole utilizzate risultano un po’difficili, poiché la lingua italiana dell’Ottocento non era certo snella e semplice come quella che noi siamo abituati a parlare tutti i giorni.

Traduzione poetica di Vincenzo Monti

Cantami, o Diva, del Pelìde Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,

e di cani e d'augelli orrido pasto

lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempìa),
da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi Atrìde e il divo Achille.


PARAFRASI nella lingua italiana attuale

Cantami, o Musa Calliope,
della tremenda ira di Achille,
che causò moltissime perdite di vite umane (= lutti) ai Greci (= Achei),
e mandò negli Inferi (= Orco) prematuramente (=primamente) le generose anime (=alme) degli eroi
e abbandonò i loro cadaveri come pasto disgustoso/orrido di cani ed uccelli (=augelli): così si concretizzava (=s’adempia) il disegno del sommo Giove,

da quando un’aspra lite mise l’uno contro l’altro il generale dei Greci  (= il re dei prodi) Agamennone (= Atrìde, perché figlio di Atréo) e il divino Achille.

venerdì 13 dicembre 2013

8^ puntata. Gym Time (di Valentina Buono)

Negli spogliatoi della palestra c’era un odore di scarpe ed umidità,  ma, di tanto in tanto, arrivavano folate di profumo, quando qualche signora si spalmava una crema miracolosa e tuttofare oppure usciva dalla doccia con addosso ancora la fragranza del bagnoschiuma.
Una moltitudine di décolleté con il tacco, stivali, parigine e ballerine- prevalentemente nei colori nero e marrone- giaceva ai piedi delle panche abbandonata: le scarpe “cittadine”erano state temporaneamente spodestate da scarpe ginniche dei più svariati tipi.  Alcune di esse non sembravano sentir troppo la mancanza delle loro proprietarie: d’altronde queste le trascuravano, lasciandole senza un velo di lucido o un colpo di spugna. - Che vita dura! Anche per le scarpe! – pensò Stella e mentre queste parole le attraversavano la mente velocemente, si sfilava i vestiti per indossare la tuta: la felpa con la mezza zip era bianca e nera, mentre il pantalone era nero e le fasciava fianchi e cosce. A Stella non era mai piaciuto indossare un abbigliamento ginnico eccessivamente attillato, poiché la infastidivano gli sguardi indiscreti di alcuni uomini, e non portava mai i capelli raccolti a coda: li fermava sulle tempie per evitare che le ciocche anteriori le ricadessero sugli occhi durante l’allenamento.
Dopo aver fatto il doppio nodo alle sue Nike, uscì dallo spogliatoio e varcò la soglia della sala attrezzi. Iniziò l’allenamento con trenta minuti di camminata veloce sul tapis roulant: il suo attrezzo preferito. Poi passò all’allenamento delle cosce e a quello dei polpacci; infine dorso e bicipiti, con i pesi da 2 Kg. A Stella piaceva molto – era una forma di narcisistico compiacimento – avere delle braccia magre e sode. Le curava molto. Inoltre, spesso, si trovava costretta a sollevare e a portare pesi e, per non forzare la schiena, le conveniva allenare braccia e addome.

Alla fine dell’allenamento, quel giorno, Stella si sentiva particolarmente stanca. Sarebbe tornata a casa, avrebbe fatto una doccia e sarebbe cascata sul letto, senza neppure cenare. Quella sera aveva voglia di abbracciare il cuscino e sprofondare sotto il piumone celeste, morbido, avvolgente. Non vedeva l’ora…

martedì 3 dicembre 2013

7^ puntata. Bacheche e sneakers (di Valentina Buono)

Occhi furbi e profondi, folti capelli castani lunghi nella parte superiore e sfumati corti verso la nuca, il tutto confezionato in un paio di vecchi jeans,  un bomber marrone ed un paio di sneakers di camoscio, che un tempo eran dovute essere marroni anch'esse, ma che ora avevano assunto un colore indefinito, oltre ad esser consumate in punta. Se ne stava di fronte alla bacheca del dipartimento, con in mano un'agenda, aperta; girava le pagine e, consultando gli avvisi affissi in bacheca, prendeva appunti. 
Stella, come ogni mattina, stava arrivando di corsa, per iniziare le sue ricerche filologico-linguistiche. Più si avvicinava al dipartimento e più frequenti divenivano gli incontri con colleghi, conoscenti e docenti: era tutto un salutare. Raggiunse velocemente l'anticamera del dipartimento, laddove sono collocate le bacheche delle varie discipline. Vide questo ragazzo. Per essere uno studente, le sembrò un po' avanti negli anni e, tra le altre cose, Stella non lo aveva mai visto da quelle parti. Mah! Forse era un fuoricorso, uno di quelli che spuntano una volta all'anno, in occasione di qualche appello d'esame. Stella si chiese quali esami ci fossero quel giorno. Non ne sapeva nulla. Forse si trattava di qualche appello straordinario di Epigrafia: la prof.ssa Doriani era solita fissare per gli esami date ulteriori rispetto a quelle normalmente previste. La sua era un po' pietà, un po' opportunismo: eh sì, perché fa comodo essere considerati docenti clementi e comprensivi e, una volta sparsasi la voce, il proprio corso diviene richiestissimo ed affollatissimo. Più studenti significano automaticamente maggior potere. Stella queste cose le aveva capite da sola, senza che nessuno gliele avesse spiegate. Tra l'altro, nel caso non le fossero state note, non avrebbe trovato nessuno disposto a spiegargliele. Di questo ne era certa. In università vigevano le regole del silenzio omertoso e dell'homo homini lupus. Stella lo sapeva e si adeguava all'ambiente. Faceva le sue ricerche, studiava, consultava saggi monografici, enciclopedie, dizionari etimologici, raccolte epigrafiche e papirologhe, manoscritti antichi e preziose edizioni a stampa. In alcuni giorni le ore trascorse in dipartimento volavano e Stella, presa dalle sue indagini letterarie, sobbalzava letteralmente al trillo della sirena che precedeva di dieci minuti la chiusura della biblioteca. Altre volte, invece, non le andava di restare fino alle 19, 30 rinchiusa tra le quattro mura della biblioteca e preferiva uscire verso le 17, 30: faceva un salto nelle vie del centro e poi correva per un'oretta risicata in palestra, ma solo due volte ala settimana e neanche tutte le settimane. Stella non era propriamente una sportiva. Diciamo che si obbligava a frequentare saltuariamente la palestra, poiché l'idea che i suoi muscoletti potessero prosciugarsi e la cellulite prendere il sopravvento non le piaceva. D'altronde all'epoca Stella aveva solo 25 anni. Troppo giovane per lasciare le sue ciccette (grasse o magre che fossero) in balìa della forza di gravità, non credete?

domenica 1 dicembre 2013

6^puntata. Centocinquanta: cifra tonda (di Valentina Buono)



A grandi passi Stella uscì dallo studio della Pincherlo. Si sentiva su una nuvola. Non sapeva come fosse stare su una nuvola in realtà, ma immaginava che la sensazione dovesse essere simile a quella che stava provando allora. Le gambe andavano per inerzia, sentiva le sue labbra piegate in un sorriso, ampio e inaspettato. Il cuore andava a mille. Raggiunse la sua Pandina e si immise nel traffico dell'ora di punta del rientro pomeridiano. Non le andava, però, di tornare a casa. Voleva andare al Centroshopping. Sì, per festeggiare, da sola, quel pomeriggio di vita. Quella vita che prometteva di non abbandonarla, almeno per ora, poi, chissà! siamo sotto il cielo. Al Centroshopping c'era il suo negozio di abbigliamento preferito. Avrebbe provato tutto quello che le piaceva e si sarebbe data a spese pazze. Sì, sì. Wow!!!


- Mamma che bello quel maglione di lana grossa mélange color senape: sarà mio! Non è che mi ingrossa? Mmmm. Naaaa, ma che ingrossa, chi se ne frega, dai! Lo provo - Stella lo infilò rapidamente, con foga, e si guardò allo specchio. Era bella. Sì, doveva ammetterlo: il maglione le stava bene, ma ancor di più le donavano il sorriso e quella luce negli occhi. Era decisamente bella. Merito del maglione e della celiachia!
- Questa gonna scozzese rossa è fantastica! Ha le pieghe però... mi ingrossa, cavolo, mi ingrossa! Vabbé, vorrà dire che mangerò meno cioccolato. La voglio, la voglio, la voglio, cavolo!!!- nel camerino la infilò, senza nemmeno togliersi le scarpe e il jeans, che rimase sotto il ginocchio a penzolare - Bella, bella, bellissimaaaa! La voglio! Settanta euro. Il maglione invece, quanto sta? Vediamo. Cinquanta euro. Bene. Sono già centoventi. Stella, vacci piano - ma vide una sciarpa rossa, di lana mohair, morbidosa e lucente - E dai, però, questa non posso non prenderla! Mi sta troppo bene questo colore e, poi, è così soffice...vediamo: venti euro. Facciamo cifra tonda: centocinquanta e a casa di corsa!- Ecco l'angolo dei cappellini. D'inverno Stella non vi rinunciava per nulla al mondo: aveva 5-6 cappellini, di colori diversi e ogni anno ne comprava uno diverso. Lo vide rosso, di una tonalità molto simile alla sciarpa superfantastica, con un bon-bon nero alla sommità. 
-Bellino, bellino è quel cappello!- lo indossò e si specchiò: le faceva risaltare le labbra. - Bene. Quota centocinquanta raggiunta!- 
Stella si avvicinò alla cassa. Prima di lei c'era una ragazzina sui quattordici anni. Capelli liscissimi con shatush biondo alle punte. Masticava una gomma, distrattamente. Il jeggins (si dice così, no?) le fasciava le gambine da fenicottero e le maniche di un maglione slabbrato fuoriuscivano da quelle del piumino parka verde militare. La ragazza pagò e sulla mano destra aveva il tatuaggio di un Cupido.
Stella si ricordò delle lezioni universitarie su Cupido e gli Amorini. Che teneri, dolci bambini alati. Peccato che l'avessero fatta innamorare sempre di quello sbagliato.