mercoledì 27 marzo 2013

Vita da pendolare precaria: pomeriggio intenso - parte I


Oggi pomeriggio ho centomila cose da fare! Strano, no??? Da dove comincio? Dovrei stirare dieci camicie (sì, non è che mio marito sia un pazzo, megalomane e narcisista, sono io che mi sono lasciata un po’ di arretrato), pulire i bagni, doccia compresa con anticalcare, fare la spesa, andare in lavanderia a ritirare la giacca, passare alle poste a ritirare la raccomandata in giacenza da… da quando? Fammi controllare: nooooo, da quindici giorni!!!! Assurdo, spero non sia tornata al mittente… una volta mi è capitato, con un pacco celere. Sono andata a ritirarlo dopo 8 giorni e di pacchi ne ho trovati due… che sfacelo!!! Vabbé, non divaghiamo, dovrei preparare alcune schede per il lavoro di Geografia di domani e correggere le verifiche di Storia e forse, se avanza tempo, dovrei anche lavare i capelli… quanto tempo ho? Sono le 14,00: bene, ho sei ore per fare tutto, tranne i capelli e i bagni, che posso fare anche dopo… quando torno poi devo mettere a posto la spesa e cucinare…  vediamo di ottimizzare: alle poste e al supermercato devo andarci in macchina, ma in lavanderia posso andarci anche a piedi, così faccio un po’ di movimento (finalizzato  a tonificare le parti del corpo più a rischio grasso, grasso e stramaledettissimo grasso!!!).
Usciamo, allora. I capelli, mah, li sistemo alla bene e meglio, ma stasera piega perfetta!!! È una promessa, non vi preoccupate, stasera vi sistemo! Trucco? Mmm, forse la matita che è tutta sbavata va un po’ risistemata, altrimenti sembro una disperata!!! Usciamo, va’!!! Giacca, cappello e sciarpa, sì ci vogliono! Decisamente. Tira un vento gelido che taglia la faccia, miseria ladra!!! Oggi, che giorno è? Miseria ladra, è il 27 marzo ed è ancora così freddo??? Altro che surriscaldamento globale… a me pare che si stia andando incontro ad una nuova glaciazione… mah!! Chi ci capisce qualcosa in queste faccende, è davvero bravo ed ha tutta la mia ammirazione, sincera. Noooo, ‘sto bottone del cavolo!!! Devo cambiare giacca… vai, questa marrone… sembro Arlecchino sul carro di Carnevale, ma fa niente, chi se ne frega!!! Sulle riviste, d’altronde, appaiono foto di modelle vestite con degli accostamenti di colore assurdi, eppure sono iper -fashion!!! Oggi sarò anch’io iper- fashion… peccato che non sono alta 1,80 mt, non ho i capelli lunghi e setosi ed un fisico perfetto e affusolato!!!! Sì, dai, non buttiamoci giù!!! La buonanima di mia nonna diceva. “ Il vino buono sta nella botte piccola!!!” Ah, nonna, ma non stiamo a dire cazzate!!! Ti voglio bene, ma qualche centimetro in più non guasta mai!!! Certo, sì, sì, non mi lamento… vabbé, dai, mai lamentarsi di ciò che si ha!!! Hai ragione, nonna, poi il Signore si dispiace. Vabbé, comunque, sono vestita di merda, ho addosso mille colori e non ho tempo di cambiarmi. Ma l’umanità sopravviverà anche a questo!!! Se fosse di mattina, con il sole potrei indossare i miei occhiali scuri e passare con fare disinvolto, sotto gli occhiali scuri, anche se sembro Arlecchino: gli occhiali scuri – si sa – ti salvano in più di un’occasione (vedasi occhi gonfi, rossi, occhiaie, uff in quante occasioni ti salvano!!!). E invece no, cazzo, sono le 15.00, ed è quasi buio e sarei additata da pazza se uscissi con gli occhiali scuri… Non sono mica Mina… sì, è vero, mi diletto a cantare le sue canzoni, ma inobiettabilmente non sono Mina. Decisamente non sono lei. E quindi non ci pensiamo più. Occhiali scuri, non siete mai esistiti, farò a meno di voi.  Dai, è tardi. Passo in lavanderia. Intanto per strada consumo l’asfalto camminando a passo svelto in modo da contrarre i glutei, che –ahimé- tendono ad essere il luogo privilegiato per l’accumulo delle adiposità (così chiamano la cellulite con eleganza e tatto gli esperti)!!! Che palle. Sempre perché dobbiamo essere perfette. Ma chi lo ha detto? Chi lo ha stabilito??? In realtà nessuno. La pubblicità, la tv, il cinema ci mostrano queste sventolone, pelle liscia, culo perfetto e seno abbondante… Fanculo alla pubblicità, alla tv e al cinema. Mi voglio mantenere in forma, ma lungi da me andare in fissa come tante donne, che si privano pure di un dolce o di un cioccolatino… sentite la vita è una sola, per piacere, io il cioccolatino lo voglio, anzi ne voglio assaggiare tre diversi: uno fondente, un cremino e uno alle nocciole? Tu, mangiatrice di gallette di riso, che cazzo guardi??? Io voglio tre cioccolatini. Sono problemi tuoi? Direi proprio di no. Penso che il problema sia questo stramaledettissimo brufolo incipiente, sulla mia guancia destra!!! Miseria ladra!!! Sarà stato il Ritter Sport tascabile di ieri!!! Oh, vabbé!!!! Pace!!! Mi andava e l’ho mangiato. Prometto che stasera mi ingozzo di mele verdi. Depurano….
“Buona sera! Sì, sono Bianchi, dovrei ritirare una giacca nera! Grazie.”
“ Ha portato il tagliandino?”
“ Il tagliandino!!!! No, mi dispisce… provo a controllare… sì, guardi, mi dia un secondo… in questa borsa c’è di tutto!!! Questo? No è lo scontrino del 13 gennaio (che me ne faccio, ancora????) del supermercato… senta, penso che sia un’impresa tanto ardua, quanto inutile. Faccio prima a descriverle la giacca: è nera, corta, di panno, ha 5 bottoni grossi neri e lucidi ed è di Zara. Ah, ha un taglio a campana.”
“ Questa…no…quest’altra… eccola, bene, lei è davvero fortunata, trovata al terzo tentativo!!! La prossima volta porti il tagliando!”
“ Ok, grazie e mi scusi ancora. ! 8,00 euro, vero?”
“ Esatto, grazie!”
Ecco a lei, di nuovo, buona serata”.

lunedì 25 marzo 2013

" FABIA, L'ULTIMA DELLE EROINE OVIDIANE?"



E. BAEZA ANGULO - V. BUONO, Fabia, l'ultima delle eroine ovidiane?, in Dulces Camenae (Atti del Convegno Internazionale della Sociedad des Estudios Latinos, Baeza, 27-30 maggio 2009),  Jaén– Granada 2010, pp. 137-147.




AVVERTENZA: mi scuso per la veste grafica. Il blog ha fatto saltare nell'operazione di copia-incolla i numeri arabi delle note a pie' di pagina che solitamente sono apicali. Ora le trovate contrassegnate comunque da numeri arabi, ma in riga con il testo e non più sotto forma di apici. 

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Summary: The aim of this report is to show that in his literary production at exile
Ovid did not forget, neither put aside youth elegiac models. In particular, they relive
in the female character of Fabia, Ovid’s wife: indeed she is alike to heroines who
write erotic epistles to their lovers in Heroides. By analyzing Tristia 1.3, it appears
that, when Ovid is going to leave for exile, Fabia embraces his husband, cryes for his
leaving, implores him to bring her with him and when he goes away, she faints and –
upon regaining senses – she wants to die: we meet all these Fabia’s attitudes and
behaviours in many deserted women of Heroides. Moreover, when Fabia asks Ovid
to bring her with him, she says that she would be his sarcina parva (l. 84): this
expression recalls the one of Briseides in Her. 3, but especially the archetypic one
is: essem militiae sarcina fida tuae of Arethusa, a female propertian character of
Prop. 4.3, who asks her husband Lycotas, a soldier, to take her as a sarcina parva (cf.
v. 46). Therefore, we can say that in exile epistolaries, Fabia, transfigurate from the
dimension of reality and time, becomes an everlasting paradigmatic character in elegiac
literature: she represents the last of ovidian heroines, with her eyes turned to propertian
Arethusa of elegy 4.3.

Keywords: Ovid, elegy and exile epistolography.

Presentazione: Lo scopo di questa comunicazione è dimostrare che nella sua
produzione letteraria dell’esilio Ovidio non ha dimenticato, né messo da parte i modelli

 Il presente lavoro rientra tra le attività del gruppo di ricerca di «Literatura e Historia de las
Mentalidades» (HUM-582) dell’Università di Huelva, financiato dal Plan Andaluz I+D+I della Consejería
de Ciencia, Innovación y Empresa della Junta de Andalucía.

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elegiaci della giovinezza. In particolare, essi rivivono nella figura femminile di Fabia,
sua moglie: ella, infatti, appare molto simile alle eroine che scrivono epistole d’amore
ai loro amanti nelle Heroides. Dall’analisi di Tristia I 3, emerge che Fabia, quando
Ovidio sta per partire per l’esilio, lo abbraccia, piange per la sua partenza, gli domanda
di portarla con sé, e quando egli va via, ella sviene e – una volta riacquistati i sensi –
desidera di morire: tutti questi atteggiamenti e comportamenti di Fabia si rintracciano
in molte donne abbandonate delle Heroides. Inoltre, quando Fabia chiede ad Ovidio
di portarla con sé, ella afferma di volersi rendere per lui simile a una sarcina parva
(v. 84): questa espressione richiama quella analoga di Briseide in Her. 3,68, ma
soprattutto quella che riteniamo essere archetipica: essem militiae sarcina fida tuae
di Aretusa, la protagonista femminile di Properzio 4,3, la quale chiede al marito Licota,
che è un soldato, di prenderla con sé come una sarcina fida (cfr. v. 46). Proprio per
queste ragioni, possiamo affermare che negli epistolari dell’esilio, Fabia – passando
dalla dimensione del reale e del presente – diviene una figura letteraria di stampo
elegiaco: ella diventa l’ultima delle eroine ovidiane, con lo sguardo rivolto all’Aretusa
properziana dell’elegia 4,3.
Parole chiave: Ovidio, elegia ed esilio epistolographico.



Il presente lavoro si propone di dimostrare i punti di contatto tra il personaggio
di Fabia, moglie di Ovidio, così come viene delineato dal poeta in svariati contesti
delle raccolte epistolografiche in versi dell’esilio (Tristia2 e Epistulae ex Ponto3)
e le figure delle eroine mitiche, autrici delle missive in distici elegiaci che
costituiscono le Heroides4.
Il fatto che si intendano mettere in evidenza le molteplici affinità tra le donne del
mito letterariamente rielaborate nelle Heroides e Fabia non deve apparire strano, per
due ragioni: la prima è che attraverso gli espedienti tipici della poesia, Ovidio trasforma
Fabia da entità reale in personaggio «letterario», assimilandola già per tale
motivo alle donne protagoniste delle Heroides; in secondo luogo l’analisi comparativa
che vogliamo realizzare trova la propria ragion d’essere nella ormai acclarata
somiglianza di fondo tra la produzione epistolare ovidiana dell’esilio e quella delle
Heroides. Come è stato variamente argomentato5, gli elementi che accomunano Tristia
ed Epistulae ex Ponto da un lato, ed Heroides dall’altro sono: la forma epistolare,

2. Per il testo latino dei Tristia ci atteniamo alla recente edizione curata da E. Baeza Angulo e
pubblicata da Alma Mater (Publio Ovidio Nasón. Tristezas, introducción, edición crítica, traducción y
notas de E. BAEZA ANGULO, Madrid 2005).
3. Il latino delle Epistulae ex Ponto riproduce il testo di «The Loeb Classical Library», a cura di
G.P. GOOLD, Cambridge (Mass.) 1988.
4. Per il testo latino delle Heroides seguiamo quello de «Les Belles Lettres», a cura di H. BORNECQUE,
Paris 1928.
5. Cf. Tra gli studi più validi sull’argomento segnaliamo R.J. DICKINSON, «The Tristia: Poetry in
Exile», in J.B. BINNS (ed.), Ovid, London 1973, pp. 158-159; P.A. ROSENMEYER, «Ovid’s Heroides and


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che implica di per sé la lontananza tra mittente e destinatario; il tono del «lamento»
assunto convenzionalmente dallo scrivente; gli stati d’animo del mittente delle lettere,
che oscillano tra dolore, solitudine, struggente nostalgia per la vita di un tempo e per
gli affetti lontani, desiderio ardente di ristabilire il contatto fisico con i destinatari
delle lettere. La differenza principale, di contro, risiede nel fatto che nelle Heroides
(e in particolare nelle prime 15) mittenti delle epistole sono alcune delle più famose
eroine del mito e della letteratura, che scrivono ai loro amanti lontani, mentre nei
Tristia e nelle Ex Ponto mittente è Ovidio in persona, esule a Tomi, il quale indirizza
le missive alla moglie, agli amici, al principe: la poesia del poeta di Sulmona passa,
dunque, da un livello mitologico e di pura finzione ad uno di trasfigurazione e
celebrazione dell’esperienza reale, attraverso l’utilizzo del medesimo genere letterario
e dei medesimi motivi6. Inoltre, per la redazione delle opere epistolografiche
dell’esilio, accanto al modello privilegiato delle Heroides, ci pare che Ovidio attinga
pure a quello che – a buon diritto – è ormai considerato l’archetipo del genere
epistolografico in versi a Roma e quindi delle stesse Heroides: la terza elegia del IV
libro di Properzio7. Si tratta di un’epistola che Aretusa scrive a suo marito Licota,
lontano da Roma per una guerra in Oriente, invitandolo a tornare presto e a serbarsi
fedele8.
Ai fini dell’analisi comparativa che ci apprestiamo ad effettuare ci interessa
puntare l’attenzione soprattutto sul contesto letterario di Tr. 1.3, dove Ovidio
ricorda la notte in cui lasciò casa sua e sua moglie per recarsi in esilio: in esso
emergono alcuni atteggiamenti di Fabia che – ci pare – la assimilino esplicitamente
a una delle Heroides. Il rapporto della donna con il marito è di intensa e immediata
affettività, ma nello stesso tempo i suoi gesti e le sue parole si rifanno chiaramente
ai tratti tipici del personaggio della donna abbandonata delle Heroides9.

Tristia: voices from exile», Ramus 26 (1997), pp. 29-30 in particolare; E. TOLA, «Un réseau d’illusions: de
l’Héroïde XIII (Laodamie à Protésilas) aux textes ovidiens de l’exil», Euphrosyne 35 (2007), pp. 309-318;
E. BAEZA ANGULO, «La nueva elegía ovidiana: epistulae ex exilio», Emerita 74 (2008), pp. 253-273; D.
ROUSSEL, Ovide épistolier, Bruxelles 2008.
6. Sui temi e sui modi che gli elegiaci utilizzano per la celebrazione dell’amata, cf. G. LIEBERG, «La
laus mulieris nella poesia augustea», Maia 49 (1997), pp. 349-365; J. WILDBERGER, «Die Überhöhung der
Geliebten bei Tibull, Properz
und Ovid», Gymnasium 105 (1998), pp. 39-64.
7. Il testo latino di Prop. 4.3 è quello curato da P. Fedeli, per i tipi della Teubner (Sexti Properti
Elegiarum Libri IV, edidit P. Fedeli, Stutgardiae 1984).
8. Per uno studio dettagliato sull’influenza di questa elegia di Properzio sulle Heroides, cf. V.
BUONO, Dall’amore coniugale all’amore elegiaco. Commento a Prop. 4,3 (tesis), Bari 2008; «Epistole
amatorie a confronto: Prop. 4,3 e Ov.
Her. 1», BStudLat 38, 2008, pp. 535-548.
9. Cf. G. ROSATI, «L’addio dell’esule morituro (Trist. 1, 3): Ovidio come Protesilao», W. Schubert
(ed.), Ovid, Werk und Wirkung. Festgabe für Michael von Albrecht zum 65. Geburtstag, Francoforte
1999, pp. 787-796; A. VIDEAU-DELIBES, Les Tristes d’Ovide et l’élégie romaine: une politique de la
rupture, Paris 1991, pp. 24-49; E. TOLA, «El imaginario de las lágrimas y del cuerpo: Tristia y Epistulae
ex Ponto o la última metamorfosis de Ovidio», Argos 24 (2000), pp. 157-183.


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Per cominciare, nei vv. 17-18 Fabia piange ininterrottamente abbracciando il
marito che sta per lasciarla:
uxor amans flentem flens acrius ipsa tenebat
imbre per indignas usque cadente genas.
La donna è indicata con il sostantivo uxor, che in incipit di verso enfatizza il
suo ruolo di sposa; il contiguo amans mette in evidenza il legame erotico-affettivo
che la unisce ad Ovidio e che va ben al di là dell’affectio maritalis
tradizionalmente alla base del matrimonio romano10; la giustapposizione allitterante
di flentem e flens in poliptoto11 sottolinea la comunione dei coniugi nel dolore e
nel pianto12, benché l’avverbio acrius specifichi che le lacrime di Fabia sono
ancora più copiose di quelle del marito. Il motivo dei due amanti che piangono
contemporaneamente al momento del distacco ricorre frequentemente nelle
Heroides13. Nel v. 95 della seconda eroide si assiste al pianto di Fillide e
Demofoonte, al momento della improrogabile partenza di quest’ultimo; i due
amanti piangono all’unisono, confondendo le lacrime (attraverso un’espressione
chiastica) in un unico profondo dolore, quello del distacco:
cumque tuis lacrimis lacrimas confundere nostras.
L’espediente stilistico della giustapposizione in poliptoto di lacrimis e lacrimas
qui utilizzato potrebbe avere rappresentato il modello per quella, assai simile, di
flentem e flens in Tr. 1.3.17 e pone un’indubbia enfasi sulla comunanza dei
sentimenti di Fillide e Demofoonte. Lo stesso motivo, inoltre, si ritrova variato
ad hoc nei vv. 45-46 della lettera di Enone a Paride (Her. 5):
et flesti et nostros uidisti flentis ocellos;
miscuimus lacrimas maestus uterque suas.

10. L’affectio maritalis consisteva nella reciproca volontà di un uomo e di una donna, che avessero
raggiunto almeno l’età pubere, di convivere in legittimo matrimonio: per ragguagli sintetici, ma precisi
sull’argomento, cf. M. MARRONE, Lineamenti di diritto privato romano, Torino 2001, p. 125.
11. Tale espediente stilistico è già utilizzato da Cicerone, cf. e. g. Flac. 102 o nox illa ... cum ego te,
Flacce, caelum noctemque contestans flens flentem obtestabar, e dallo stesso Ovidio, e. g. Met. 14.305-
306 bracchia sunt: flentem flentes amplectimur ipsi / haeremusque ducis collo nec verba locuti e
successivamente in Pont. 1.4.53 et narrare meos flenti flens ipse labores (sempre in riferimento a sua
moglie).
12. Cf. P. FEDELI, «L’elegia triste di Ovidio come poesia di conquista», R. Gazich (ed.) Fecunda
licentia. Tradizione e innovazione in Ovidio elegiaco, Milano 2003, p. 14
13. Cf. A. R. BARCA, «The Themes of Querela and Lacrimae in Ovid’s Heroides», Emerita 39
(1971), pp. 195-201.


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Nel v. 18 di Tr. 1.3 pregevolissima è la metafora della pioggia14 per alludere al
pianto ininterrotto e abbondante di Fabia: l’immagine è già presente nell’epistola
di Arianna a Teseo (cf. Her. 10.138), benché sotto forma di similitudine:
(aspice v. 137) et tunicas lacrimis sicut ab imbre grauis.
Anche il motivo del pianto della sola donna al momento del distacco dal
proprio uomo è ben presente nelle Heroides: nella decima epistola, ad esempio,
Arianna piange incessantemente e disperatamente quando non riesce più a scorgere
dal litorale le vele della nave su cui Teseo si sta allontanando15 e nei vv. 43-46
dice:
Iamque oculis ereptus eras; tum denique flevi;
torpuerunt molles ante dolore genae.
Quid potius facerent, quam me mea lumina flerent,
postquam desierant vela videre tua?
Nei vv. 51-55, poi, Arianna racconta al suo amato lontano che alla vista del
torus in cui avevano sperimentato insieme le gioie d’amore, vi si getta sopra e lo
inonda di pianto:
saepe torum repeto qui nos acceperat ambos,
sed non acceptos exhibiturus erat,
et tua, quae possum pro te uestigia tango
strataque, quae membris intepuere tuis.
Incumbo lacrimisque toro manante profusis.
Nel v. 15 della terza epistola Briseide ricorda le sue lacrimae sine fine quando
fu strappata brutalmente ad Achille; nei vv. 70-71 della sesta epistola Ipsipile,
scorgendo la nave di Giasone allontanarsi, piange lacrime abbondanti che le inondano
il volto e il petto:

14. Cf. P. FEDELI, art. cit., p. 14 n. 58, il quale per la ricorrenza del topos rinvia a Ov. Ars 1,532
indigno teneras imbre rigante genas e a Catull. 68,55-56 maesta neque assiduo tabescere lumina fletu
/ cessarent tristique imbre madere genae; per le origini ellenistiche del motivo cf. G. LUCK, P. Ouidius
Naso. Tristia, Band II: Kommentar, Heidelberg 1977, p. 38, ad locum.
15. Il viaggio per mare rappresenta un denominatore comune a numerose lettere delle eroine:
esso compare, per la precisione, in ben 14 epistole (cf. Her. 1; 2; 3; 5; 6; 7; 10; 13; 15; 16; 17; 18; 19;
21). Ad ogni modo, non pretendiamo di approfondire l’argomento in questa sede, ma, riservandoci di
farlo in futuro, intendiamo accennare al fatto che il mare rappresenta nelle Heroides, come nelle
epistole dell’esilio indirizzate a Fabia, uno dei fattori principali di separazione tra gli amanti, rivestendo
così la funzione propria della ianua nella tradizione elegiaca precedente, intesa come barriera che
si frapponeva tra gli innamorati, dando vita al paraclausithyron, la cui origine è rintracciabile nell’episodio
di Arianna nel carme 64 di Catullo: Cf. E. DE SAINT-DENIS, Le rôle de la mer dans la poésie latine,
Paris 1935, pp. 332-345.


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… et lacrimis osque sinusque madent.
Per lacrimas specto …
Il medesimo motivo è presente, infine, nella lettera di Ermione a Oreste,
l’ottava delle Heroides, nei vv. 61-64:
flere licet certe, flendo diffundimus iram
perque sinum lacrimae fluminis instar eunt.
Has solas habeo semper semperque profundo;
ument incultae fonte perenne genae.
In questo caso, tuttavia, le lacrime della donna rappresentano più che altro uno
sfogo alla collera repressa nei confronti di Neottolemo/Pirro, al quale Ermione
è stata promessa in sposa contro la sua volontà, e il quale non perde occasione
per biasimare e accusare l’amato Oreste in sua presenza. Ermione paragona il suo
pianto copioso ad un flumen, la cui sorgente è inesauribile16.
Tornando all’elegia terza del primo libro dei Tristia di cui si sta trattando,
accanto al motivo del pianto della donna per la partenza del proprio uomo – che
si è visto essere topico nelle Heroides – ne abbiamo rintracciato un altro, che ci
sembra abbia come modello l’elegia terza del IV libro di Properzio17, a cui abbiamo
accennato nella parte iniziale del nostro discorso. Il topos in questione è quello
della richiesta da parte di una donna al proprio uomo di seguirlo in viaggio,
rendendosi simile alla sarcina, cioé a quel bagaglio che ogni soldato portava con
sé in una spedizione militare18.
Mettendo a confronto i vv. 83-84 di Tr. 1.3 e i vv. 45-46 di Prop. 4.3 in cui
tale motivo compare ci si accorge di quanto somiglianti siano i due contesti.
Prendiamo in esame per primo il brano ovidiano:
et mihi facta uia est, et me capit ultima tellus:
accedam profugae sarcina parua rati.
A parlare è Fabia: già nel distico precedente a questo la donna cerca di convincere
suo marito a portarla con sé a Tomi, a condividere il destino di esule con lei che
è sua sposa19; nei due versi in questione ella fa notare allo sposo che non esiste
alcun impedimento oggettivo affinché non possa partire con lui. Ovidio deve
essere tranquillo, perché sulla nave che lo condurrà lontano da Roma, Fabia non

16. Ancora oggi si è soliti parlare metaforicamente di «fiumi di lacrime», per indicare il pianto
copioso ed inarrestabile.
17. Cf. P. FEDELI, art. cit., p. 15.
18. Cf. OLD, s.u. [1b].
19. Cf. Ov. Tr. 1.3.81-82 Non potes auelli. Simul hinc, simul ibimus: - inquit, / te sequar et coniunx
exulis exul ero.



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gli sarà né di peso, né di ingombro: la donna è pronta a farsi sarcina parua20.
L’attributo parua in riferimento alla sarcina è funzionale proprio a comunicare
l’idea che Fabia non ha alcuna intenzione di rappresentare un peso o un impedimento
per il marito, ma vorrebbe soltanto essergli di supporto e di conforto nei
giorni dell’esilio. Per amore di lui la donna è metaforicamente disposta ad
accartocciarsi su se stessa, a ridurre al minimo la propria fisicità. Lo stesso,
identico concetto è espresso da Briseide nel v. 68 della terza eroide: non ego
sum classi sarcina magna tuae. Viene naturale osservare che allora l’immagine
della sarcina parva di Tr. 1.3.18 prende le mosse proprio dall’espressione litotica
non …sarcina magna presente in questo contesto. Tuttavia, riteniamo che il
modello archetipico del motivo vada individuato, come si è detto, nei vv. 45-46
della terza elegia del IV libro di Properzio:
Romanis utinam patuissent castra puellis!
Essem militiae sarcina fida tuae.
Qui Aretusa esprime a Licota il desiderio di raggiungerlo presso gli
accampamenti, dove sarebbe per lui una sarcina fida, ma purtroppo il regolamento
militare vieta severamente alle donne l’accesso ai castra21. Il desiderio della
fanciulla properziana si scontra, dunque, con un impedimento oggettivo: le leggi
in materia militare (Fabia, invece, non avrebbe alcun problema nel seguire il
marito in esilio). Degno di nota è senza dubbio l’aggettivo fida (a fronte dell’ovidiano
parva) in relazione a sarcina, poiché pone l’accento sulla fides di Aretusa nei
confronti dello sposo22: la scelta lessicale di Properzio non stupisce, in quanto
l’elegia 4.3 si gioca interamente sul tema della fides elegiacamente intesa e
trasposta in una relazione coniugale23. Proprio questa è la grande «rivoluzione»
(ci si passi pure il termine un po’ forte) che Properzio compie nell’elegia 4.3:
rappresentare un rapporto coniugale secondo gli schemi e i valori dell’universo

20. Lo stesso sintagma si ritrova in posizione identica, a occupare i due dattili del secondo emistichio
del pentametro, in un contesto abbastanza differente: cf. Her. 9.58 illo, cui caelum sarcina parua
fuit.
21. Il divieto di accedere agli accampamenti militari, come pure ai campi di battaglia, era esteso a
tutte le donne romane, fatta eccezione per le meretrici, come testimoniano già in riferimento all’epoca di
Tiberio Gracco Livio (cf. Perioch. 57) e Floro (cf. Epit. 1,34,10-11). Per una buona trattazione dell’argomento
si veda il datato, ma ancora valido contributo di C. CASTELLO, «Sul matrimonio dei soldati», Rivista
Italiana per le Scienze Giuridiche, n.s. 15 (1940), pp. 27-119.
22. Il v. 49 omnis amor magnus, sed aperto in coniuge maior rinvia all’ideale dell’amore coniugale
nell’ambito della politica moralizzatrice di Augusto: cf. R. MALTBY, «Love and Marriage in Propertius
4.3», Papers of the Liverpool Latin Seminar 3 (1981), 243-247.
23. Cf. v. 11 haecne marita fides et pactae in gaudia notes, dove Aretusa rinfaccia a Licota le
promesse di fedeltà del tutto disattese; cfr. vv. 23-28 dic mihi, num teneros urit lorica lacertos? / num
grauis imbellis atterit hasta manus? / haec noceant potius, quam dentibus ulla puella / det mihi
plorandas per tua colla notas! / diceris et macie uultum tenuasse: sed opto / e desiderio sit color iste
meo, dove la donna mostra palesi sospetti sulla fedeltà del marito lontano.



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elegiaco, tutto incentrato sul foedus, di matrice catulliana24, e sulla fides tra gli
amanti. Come è noto, proprio la fides riveste nella poetica e nell’amore elegiaci
un ruolo di assoluta centralità, perché essa si sovrappone al vincolo coniugale e,
anzi, lo sostituisce25, divenendone un surrogato arricchito di passionalità, desiderio
e gelosia: ingredienti del tutto accessori e generalmente assenti nel matrimonio
romano, concepito – è un dato risaputo – come uno sterile patto tra i patres
familias dei due sposi. Ovidio, nell’epistolario a Fabia che si può estrapolare
idealmente dai Tristia e dalle Epistulae ex Ponto26, prosegue per la strada che ha
iniziato a percorrere Properzio in 4.3: si tratta di un esperimento poetico originale,
in cui l’amore tra coniugi viene rielaborato e trasfigurato secondo gli schemi
valoriali della poesia elegiaca. Come Aretusa parla a Licota di marita fides27 (v.
11), così Ovidio si riferisce al vincolo che lo unisce a Fabia utilizzando l’espressione
foedus maritum (cf. Pont. 3.1.73). L’analogia lessicale, e dunque concettuale, è
troppo forte e troppo evidente per negare una sicura dipendenza di Ovidio da
Properzio e per non ammettere una ripresa da parte di Ovidio dei moduli elegiaci
anche nella poesia dell’esilio. Oseremmo dire che Ovidio è troppo «elegiaco»,
per smettere di esserlo, seppure tra i disagi dell’exilium.
Le somiglianze tra Fabia e le Heroides, tuttavia, non si esauriscono qui. Allo
scopo di scoprirle, poniamo attenzione ai vv. 91-92 di Tristia 1.3:
Illa dolore amens tenebris narratur obortis
semianimis media procubuisse domo.
Quando Ovidio esce di casa per partire alla volta di Tomi, Fabia folle di dolore
perde i sensi e cade a terra esanime. Il motivo dello svenimento si ritrova in
maniera quasi del tutto speculare, anche per quanto riguarda la scelta del lessico
e la collocatio uerborum, nei vv. 23-24 della tredicesima eroide, la lettera di
Laodamia a Protesilao:

24. Cf. CATVLL. 109.5-6 ut liceat nobis tota perducere uita / aeternum hoc sanctae foedus amicitiae.
25. Si confronti a tal riguardo PROP. 3.20.15-30, che rappresenta un vero e proprio manifesto di
poetica dell’amore elegiaco. In questo contesto properziano, infatti, si registra una massiccia presenza
di termini che rinviano a patti di fedeltà, leggi non scritte, giuramenti che rendono il vincolo erotico (di
fatto illegittimo) sacro ed inviolabile da parte di entrambi gli amanti. Per un valido commento ad loc. cf.
P. FEDELI Properzio. Il libro terzo delle elegie, introduzione, testo e commento, Bari 1985.
26. Cf. E. BAEZA ANGULO, ar. cit., p. 263, n. 40, in cui vengono elencati i passi che costituirebbero
idealmente il corpus di epistole indirizzate a Fabia.
27. L’espressione non registra precedenti attestazioni e la canonizzazione del termine foedus in
relazione al vincolo coniugale si ha solo con i Padri della Chiesa (cf. HIER., Epist. 49.6.1; ARNOB., Nat.
2.8; 5.7; AMBR., Isaac 6.51). Espressioni sinonimiche alla marita fides properziana si ritrovano nella
letteratura pagana solo saltuariamente e tuttavia sempre in opere posteriori all’epistola di Aretusa (cf.
Ov., Met.11.743-744 coniugale foedus; STAT., Theb. 12.534-535 mariti foederis; VAL. FL. 2.173; 3.291;
7.177; 8.222 foedus iugale).


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lux quoque tecum abiit, tenebrisque exsanguis obortis
succiduo dicor procubuisse genu.
Va evidenziato l’uso della medesima ‘iunctura’ tenebris …obortis, in cui
l’omeoteleuto e l’insistenza sulla ‘littera canina’ assolvono alla funzione di
enfatizzare l’oscuramento della vista che precede immediatamente la perdita dei
sensi. La posizione dei due termini all’interno dell’esametro è comune ad entrambi
i contesti. Da rilevare è anche la presenza in ambedue i passi di procubuisse,
peraltro collocato nella medesima posizione all’interno del pentametro. Inoltre,
l’aggettivo semianimis, che Ovidio adopera nel passo dei Tristia per indicare
Fabia che giace priva di sensi, si ritrova nella decima epistola delle Heroides in
riferimento ad Arianna che sviene miseramente alla vista della nave su cui Teseo
è salpato (cf. v 32).
Per concludere, almeno in questa sede, la nostra analisi comparativa tra Trist.
1.3 e le Heroides, vogliamo segnalare che Fabia, come molte delle eroine,
desidererebbe morire, piuttosto che soffrire la lontananza dell’amato. Lo si evince
dal v. 99 del passo dei Tristia:
[narratur, SC.] et uoluisse mori, moriendo ponere sensus.
Il motivo è già presente nei vv. 183-185 dell’epistola di Didone (Her. 7), in
cui la donna disperata per l’abbandono di Enea gli scrive che si sta per trafiggere
con la spada che lui stesso le ha lasciato:
adspicias utinam quae sit scribentis imago;
scribimus, et gremio Troicus ensis adest,
perque genas lacrimae strictum labuntur in ensem.
Anche Canace nei vv. 3-5 dell’undicesima eroide esprime all’amato Macareo
analoghi propositi suicidi:
siqua tamen caecis errabunt scripta lituris,
oblitus a dominae caede libellus erit.
Dextra tenet calamum, strictum tenet altera ferrum.
Nella nona lettera delle eroine Deianira rivolge a se stessa un quadruplice
invito (una specie di refrain) a darsi la morte, attanagliata com’è dal rimorso per
aver ucciso Eracle (vv. 146; 152; 158; 164):
Impia quid dubitas Deianira mori?
Gli sviluppi delle vicende mitiche che vedono coinvolte Didone, Canace e
Deianira, sono ben noti: le tre donne si suicidano per davvero. Fabia, invece, non
arriva a compiere l’insano gesto: solo per un momento ella desidera la morte, ma



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il pensiero del marito le fa deporre immediatamente il folle proposito28; dal
canto suo, Ovidio, nei versi successivi, invita la moglie a continuare a vivere,
affinché possa essergli di conforto e consolazione nell’ingiusta sorte che gli è
toccata29.
Dopo quanto detto finora, possiamo concludere che nell’epistolario dell’esilio
Ovidio tratteggia la figura di Fabia secondo caratteri, schemi e motivi già collaudati
nelle Heroides30 e, ancora prima, nella properziana epistola di Aretusa,
canonizzandoli e fissandoli definitivamente come topici della figura della relicta
da un lato, e del genere epistolografico in versi dall’altro. L’esperienza elegiaca,
che lo ha segnato profondamente come artista, durante l’esilo si rivitalizza
arricchendosi di nuovi elementi. Davvero è possibile parlare di un epistolario
erotico-elegiaco a Fabia, che trasfigurata dalla poesia assume i connotati di un
vero e proprio personaggio letterario, tragico31 ed elegiaco allo stesso tempo, al
pari delle donne cui Ovidio fa scrivere le Heroides. I suoi gesti, le sue parole
acquistano l’enfasi patetica e la melodrammaticità che caratterizzavano spiccatamente
già le donne del microcosmo descritto nelle Heroides; le sue debolezze e la sua
essenza femminile sono amplificate nell’ottica di un «patetismo esteriore», che
nulla indulge all’autentico eroismo, e che è stato già rilevato nelle figure femminili
delle Heroides32. Nell’immaginario poetico di Ovidio Fabia diventa, in definitiva,
l’»ultima delle eroine ovidiane».

28. Cf. Tr. 1.3.100 respectuque tamen non perisse mei.
29. Cf. Tr. 1.3.101-102 uiuat et absentem, quondam sic fata tulerunt. / Viuat et auxilio subleuet
usque suo; P. FEDELI, art. cit., p. 16, mette in evidenza l’ottica utilitaristica di Ovidio nella relazione con
la moglie, rinviando al v. 88 uixque dedit uictas utilitate manus.
30. Sulla topicità dei motivi analizzati nelle Heroides, cf. il bellissimo contributo di G. ROSATI, Publio
Ovidio Nasone. Lettere di eroine, introduzione, traduzione e note, Milano 1989, pp. 5-51.
31. Cf. P. FEDELI, art. cit., p. 11.