mercoledì 12 settembre 2012

Properzio 4,3: tre articoli di Valentina Buono


V. Buono, Epistole amatorie a confronto: Prop. 4,3 e Ov. Her. 1, <<Bollettino di Studi Latini>> 38.2 (2008), pagg. 535-548.


V. Buono, Properzio 4,3, 1-6: caratteristiche epistolografiche e motivi elegiaci, <<Aufidus>> 64 (2008), pagg. 17-36.


E. Baeza Angulo - V. Buono, Fabia, l'ultima delle eroine ovidiane?, in Dulces Camenae. Poética y Poesìa latinas, a cura di J. Luque, M. D. Rincòn, I. Velàsquez, Sociedad de Estudios Latinos, Jaén-Granada, 2010, pagg. 137-146.


venerdì 7 settembre 2012

BEN-ESSERE, ovvero stare bene con se stessi e con gli altri

Benessere. Ovvero ben-essere, stare bene. Il benessere è fisico, è psicologico e di solito entrambe le condizioni coesistono. Non per nulla i sempre saggi Romani dicevano "mens sana, in corpore sano".

Una delle condizioni necessarie per stare bene psicologicamente è trovare un equilibrio con se stessi, in maniera tale che anche le relazioni con gli altri siano positive. Con questo non intendiamo dire che stare bene con se stessi significhi conseguentemente intessere relazioni unicamente proficue, piacevoli e soddisfacenti. Significa più realisticamente riuscire ad accettare gli altri, tollerarli e non giungere allo scontro con troppa facilità e senza rendersene conto. Importante è sicuramente valutare gli aspetti positivi della nostra persona, della nostra vita per poterne trarre linfa e sicurezza. Se sorridiamo alla vita, notandone le cose belle e non solo quelle che non ci piacciono o che detestiamo addirittura, la vita ci sorriderà. Questa è una sacrosanta verità. Ma l'attitudine alla positività, dove la troviamo e come? La si può possedere in maniera innata, per inclinazione e per carattere. In questo caso si è fortunati. Non bisogna sforzarsi. Molti di noi, tuttavia, questa attitudine -fanciullescamente affascinante - non ce l'hanno. Devono costruirsela, giorno dopo giorno. Lo sappiamo: non è facile. Proprio come la scalata della felicità e del benessere.
Armiamoci, quindi, di buona volontà e cerchiamo non solo di vedere il buono delle cose, ma anche il buono nelle persone che incontriamo o con le quali ci relazioniamo. Purtroppo i nostri filtri mentali, le nostre convinzioni pregiudiziali non ci aiutano in questa operazione. Sforziamoci, perciò, di mettere da parte il nostro Io ingombrante e a volte debordante e "mettiamoci nei panni dell'altro". Ovviamente questa operazione non farà sparire del tutto e magicamente tutti quegli aspetti che degli altri e dei loro modi di fare non ci piacciono, ma ci aiuterà a vivere meglio le relazioni e non avvitarci in una spirale deleteria di rimuginii e malcelati rancori, o - ancor peggio - sentimenti di inadeguatezza e tristezza.

Inoltre, noi crediamo che stare bene con se stessi significhi:
  • avere degli ideali;
  • avere degli obiettivi;
  • trovare soddisfazione in quello che si ha;
  • trovare soddisfazione in ciò che si fa e per come lo si fa;
  • riuscire ad apprezzarsi;
  • sforzarsi di modificare gli aspetti del proprio carattere o della propria vita che piacciono meno o che causano maggiori difficoltà relazionali;
  • non far dipendere la propria autostima dalla stima che gli altri nutrono (o che presumibilmente nutrono) nei propri confronti;
  • accettare le critiche;
  • aprirsi al dialogo;
  • vedere il buono nelle cose e nelle persone;
  • notare anche gli aspetti e/o i comportamenti negativi degli altri, ma non rimuginarvi sopra;
  • discutere con atteggiamento aperto ed autocritico;
  • non pensare che gli altri debbano agire o pensare esattamente nella maniera in cui ciascuno di noi lo farebbe;
  • non alzare la voce per fare prevalere la propria idea o ragione;
  • non offendere il proprio interlocutore;
  • non atteggiarsi a vittima, anche quando si pensa di avere ragione;
  • non proiettare discorsi generali sulla propria dimensione personale, sentendosi necessariamente attaccati dall'interlocutore;
  • non attaccarsi ad un passato nostalgicamente trasfigurato e sempre contrapposto e migliore del presente: se il presente non piace, che si faccia qualcosa per migliorarlo.
Questi sono solo alcuni suggerimenti, che riteniamo utili per ciascuno di noi.
Per noi sono dei promemoria e servono da sprono al miglioramento. Sempre per citare la saggezza latina: "verba volant, sed scripta manent".
Nero su bianco, insomma, per visualizzare e - si spera - metabolizzare quanto detto. 
Iniziamo da oggi il nostro percorso per stare bene con noi stessi e di conseguenza con chi ci sta intorno.
La strada è lunga, tortuosa ed in salita. Va percorsa col sorriso sulle labbra.


mercoledì 5 settembre 2012

Valentina Buono, Introduzione ad un commento a Properzio 4,3. Dall'amore coniugale all'amore elegiaco.


Autrice: Dott.ssa Valentina Buono

Titolo della tesi di dottorato in Filologia greca e latina: Dall’amore coniugale all’amore elegiaco. Commento a Prop. 4,3.

Tesi svolta presso il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università degli Studi di Bari A. Moro (a.a. 2004-2007).

Data di discussione della tesi: 20 maggio 2008.

Docente tutor: Prof. Paolo Fedeli

Commissione giudicatrice: Prof. Giovanni Laudizi, Prof. Giuseppe Solaro e Prof. Matteo Pellegrino.




Sintesi del lavoro di ricerca e Giudizio di presentazione

Il lavoro svolto dalla Buono è un commento alla terza elegia del quarto libro di Properzio, che è il primo esempio latino di un’epistola in versi. Strutturalmente il commento si articola per macro-lemmi, che riguardano uno o più distici: tale ripartizione ha il pregio di non frantumare l'analisi testuale a scapito dell'imprescindibile sguardo d’insieme sui singoli distici, i quali costituiscono di norma veri e propri nuclei tematici. Grazie ad uno stile semplice e chiaro, inoltre, il testo del commento diviene ben fruibile e a tratti persino piacevole. La candidata si è sforzata, infatti, di amalgamare all'interno di un testo di tipo discorsivo note di carattere critico-testuale, linguistico, metrico ed esegetico, che mirano ad un'analisi rigorosa ed esaustiva, dalla quale emerge una sicura padronanza degli strumenti di ricerca. Si tratta di un lavoro che, pur fondato su una debordante bibliografia, presenta pregevoli elementi di novità anche nei confronti del recentissimo commento al IV libro delle elegie di Properzio di Gregory Hutchinson, edito per i tipi della Cambridge University Press nel 2005. Il commento della Buono va ben oltre le stringate note redatte dallo studioso inglese, che spesso si rivelano del tutto inadeguate in merito a particolari questioni esegetiche suscitate dal non semplice testo properziano. La 4,3, infatti, come tutte le elegie di Properzio, presenta dal punto di vista testuale non poche difficoltà, che si riflettono inevitabilmente sull'interpretazione dei passi controversi. Il testo critico che emerge dalle scelte testuali operate di volta in volta, se da un lato respinge sistematicamente le lezioni proposte di recente da Giancarlo Giardina (nella sua edizione critica con traduzione pubblicata a Roma nel 2005), dall'altro appare più spesso conforme al testo teubneriano curato da Paolo Fedeli (Stoccarda 1984), dal quale, comunque, si discosta in più di un’occasione. Nel corso del commento, la discussione dei problemi testuali occupa un posto di rilievo, supportata com'è dal vaglio scrupoloso dell'enorme messe di congetture al testo properziano.
Il commento mira a sottolineare costantemente le affinità e le divergenze tra l'elegia properziana e le Heroides ovidiane, che molta parte della critica ritiene, a ragione, modellate sull'epistola in distici di Aretusa al marito Licota. A questo riguardo, nel presente lavoro sono sistematicamente messe in evidenza riprese tanto lessicali, quanto tematiche dal testo properziano nelle epistole amatorie ovidiane.
       Dal punto di vista esegetico, il lavoro della Buono mira a scardinare la convinzione che l'epistola di Aretusa sia un componimento celebrativo dell'amore coniugale, composto in onore e per piacere del princeps, il quale proprio negli anni in cui Properzio compose il IV libro di elegie (20-16 a.C.) irrigidì le proprie posizioni in ambito etico-sociale, dando vita ad una vera e propria restaurazione del mos maiorum. Il lavoro della Buono dimostra, infatti, che, sottoposta ad un'analisi attenta ai non pochi elementi di novità rispetto ai topoi elegiaci, la 4,3 si rivela come la riproposizione e l'ennesima celebrazione dell'amor cantato da Properzio nei primi tre libri. Il vincolo erotico che lega Aretusa a Licota va ben al di là dell'affectio maritalis e s’identifica con il foedus amoris della tradizione elegiaca. Proprio alla luce di ciò, la candidata ha scelto per la propria tesi un titolo emblematico (Dall'amore coniugale all'amore elegiaco. Commento a Prop. 4,3), che sintetizza i contenuti e i risultati del proprio lavoro di ricerca.
       Per di più, la ricerca condotta dalla Buono reca tracce manifeste di un’assidua e proficua frequentazione della biblioteca di Dipartimento e di una partecipazione costante ed interessata alle lezioni seminariali del corso di dottorato.